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venerdì 16 agosto 2013

Antichi Liguri: le datazioni e le fonti storiche

Europa intorno al 1.300 a.C. con i territori dei Liguri, Celti,
Italici (Umbri, Opici, Ausoni, Japigi, Enotri, liguri Siculi e
Sicani), Germani, Slavi (Venedi-Sclavini e Orientali) Traci,
Frigi, Illiri (fra cui i Venetici), Greci (Elleni e Pelasgi), Baltici,
Sciti (Indo-Iraniani, Sarmati e Alani) e Anatolici.
L'abate Gio Batta Grossi (del XVII-XVIII secolo) stilò un manoscritto riguardante le scoperte archeologiche di San Remo, ma l'irreperibilità di tale opera rende significativa l'edizione di un ulteriore manoscritto, di un anonimo compilatore, che attinse per lo più dal Grossi, completandolo di tanto in tanto con osservazioni personali. Tale lavoro si conserva nell'Archivio di Stato di Genova, contrassegnato con il nr. 253. Nella "Pandetta della collezione dei manoscritti e libri rari" si trova così indicato: "Antichità di Sanremo (ms. forse dell'abate Bernardo Poch, sec. XVIII)". Poch è noto per avere scritto intorno al 1730 i "Saggi dell'Annali sanremaschi" basati sullo "Spoglio delle scritture di San Remo per provare la sovranità della Repubblica", lavori manoscritti conservati nella Sezione di Archivio di Stato di San Remo, se. 91 nrr. 167-168, ma in entrambi i lavori mancano accenni alle scoperte archeologiche in quegli anni e quindi, per mancanza di dati sicuri, si preferisce considerare anonima l'operetta di carattere antichistico. Sono di mano dell'autore, nel manoscritto, gli appunti riguardanti soprattutto spogli bibliografici su San Romolo e i Liguri.

Il "manoscritto anonimo" ventila l'ipotesi, suffragata da alcune testimonianze letterarie, che i primi nuclei abitativi in territorio sanremasco siano state colonie guidate da Fetonte (secondo alcuni autori dell'epoca principe Egizio) accompagnato dal figlio Ligure, ecisti in Liguria, (l'ecista nella Grecia antica era un capo spedizione scelto da un gruppo di cittadini per guidarli nella colonizzazione di una terra e nei primi tempi della nuova colonia; era responsabile della trasmissione delle tradizioni civili e religione della madrepatria, N.d.R.). Narra poi come la stessa area sanremese sia stata occupata in seguito da popolazioni egiziane o palestinesi, come indicherebbe la diffusione del toponimo Ebraie e di altre significative località (Val d'olive, Val delle palme, Giordano). Si spiegherebbe così anche l'origine dello stemma di San Remo in quanto questo reca un leone, simbolo, per alcuni autori, usato dai Liguri "in segno di libertà e signoria", e una palma, chiarissimo emblema ebraico. Ai Palestinesi subentrarono nel territorio alcuni Focesi, appartenuti al gruppo di quelli che fondarono Marsiglia, che si stabilirono invece nella località detta "la Focea", quindi Foce. In tale regione infatti resterebbero i resti di un tempio con "la capra d'oro o irco d'oro, idolo degli istessi Focensi, o ivi da essi trasportato o ivi poi da essi fabricato, ma poi adorato da tutti". A tale proposito è narrata anche una leggenda che riguarda le difficoltà incorse nel poter recuperare tale statua e i fatti prodigiosi e violenti che capitarono agli sventurati che cercarono di tentare l'impresa, spinti dalla brama di ricchezza. Viene anche studiato il toponimo "Villa Matutiana" che è spiegato con sistemi contorti per mettere d'accordo le ipotesi di vari studiosi. Si dice infatti che il "Castello di Matucio" si chiama così "per essere ivi abitato Lucio Mauticio proconsole romano"; quindi vi dimorò il cavaliere "Caio Mario, flamine di Manata in Roma, detto Gneio Mario, flamine Matutio", che, "cercando un'aria salubre per le sue infirmità" nel territorio della Foce, riedificò le case greche e "vi fece il suo castello con una bella villa" che si chiamò villa Matutiana, "indotto forse anche perché in queste parti si adorasse la dea a cui serviva": di tale personaggio rimarrebbe una lapide "di antichissimo marmo" con l'iscrizione Caius Marius Flam. Matitt. eques romanus.

Il manoscritto settecentesco di anonimo "Antichità di Sanremo", l'ho postato col titolo "Sanremo: favolose origini e favolosi Tesori" ( QUI ). Intanto, è interessante l'ipotesi sulla derivazione del culto di San Romolo, che attraverso San Romano giungeva dal culto di Heràcle, l'Ercole dei Romani, che nei miti attraversò il territorio ligustico (ligure) in tempi antichi ( QUI ).

Nel passaggio finale della descrizione del quarto seno (golfo) di Sanremo, l'autore anonimo scrive: « E questo castello fusse abitato da uno di que' primi popoli fondati da Ligure, come lo chiama il Doglioni [Giovanni Nicolò Doglioni (Venezia, 1548 - Venezia, 1629) è stato un matematico e notaio italiano, autore di numerose opere di stampo cronachistico e di alcuni trattati di cosmografia e cronologia, connessi alla riforma del calendario voluta da Gregorio XI, N.d.R.], o Legistro che così chiamalo il Torsellini [Orazio Torsellino (Roma, 1545 - Firenze, 6 aprile 1599) è stato uno scrittore, storico e letterato italiano. Ha scritto libri sul cristianesimo, la storia del mondo e la grammatica latina, N.d.R.] et il Bardi [Girolamo Bardi (Firenze1544-1594), monaco camaldolese, scrittore, pubblicò il “Sommario overo età del mondo chronologiche (da Adamo al 1581)” in 4 volumi, a Venezia, ed. Giunti, nel 1581, N.d.R.], che scrisse che Legistro fundò i popoli della Liguria gl'anni del mondo 2118, e da questo si deve asserire quanto antica stirpe Catone: "orta est a Diis principibus" (sorta da principi divini, N.d.R.), cioè dalli primi fondatori dell'universo doppo il diluvio per che Ligistro fu figlio di Fut, o sii Fetonte, nipote di Chamo per che Padre di Fetonte e pronipote di Noè da quale nacque Chamo ecc. ».

Per cui, secondo il nostro autore anonimo, Ligure o Legistro sarebbe stato un figlio di Fut o Fetonte, figlio di Chamo o Cam, figlio di Noè.

Fetonte in una statua
Romana.
Nei miti della Grecia antica invece, c'è un Fetonte che è amico e parente del re dei Liguri Cycnus, in italiano Cigno. Secondo la maggior parte degli autori antichi, Fetonte era figlio di Elio, il dio del Sole, e della ninfa Climene. Solo Esiodo ne fa un figlio di Cefalo ed Eos. Secondo il mito, Fetonte, per dimostrare ad Epafo che Elio era veramente suo padre, lo pregò di lasciargli guidare il carro del Sole. Dopo varie insistenze ottenne di poterlo guidare ma, a causa della sua inesperienza, ne perdette il controllo. I cavalli si imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo, che divenne la Via Lattea (spiegazione mitica dell'origine della Via Lattea), quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto e i suoi abitanti neri.
Michelangelo: La Caduta
di Fetonte, disegno su
carta nel British museum
di Londra. In alto Zeus
e sotto Eridano, le Elidi
e Cycnus.
Gli abitanti della terra chiesero aiuto a Zeus per salvarli da quel caos e questi, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde così, ustionato, alle foci del fiume Eridano, il fiume che divideva il mondo conosciuto con l'Iperboreo, (secondo alcuni autori antichi da identificare con il Po), l'estremo Nord.
Da notare che Eridano è anche il nome di una costellazione, un fiume celeste. 
La costellazione circumpolare
settentrionale del Cigno.
Qualche tempo dopo, mentre gli Argonauti risalivano il fiume Eridano, trovarono il corpo di Fetonte che ancora bruciava ed emanava nuvole di vapore dall'odore nauseabondo che soffocavano e uccidevano gli uccelli. (un'odore fetente!). Le sue sorelle, le Eliadi, addolorate, piangevano abbondanti lacrime con viso afflitto e per pietà vennero trasformate dagli dèi in pioppi biancheggianti e le loro lacrime divennero  l'ambraCycnus, parente e amico di Fetonte, che piangeva con le fanciulle, fu trasformato da Zeus in un cigno, che secondo la leggenda, canta soavemente quando sta per morire. Secondo il mito riportato da Esiodo, Cycnus era figlio di Stenelo, ed era re della Liguria e parente di Fetonte, nonché suo migliore amico. Giovane in possesso di una voce melodiosa, amava cantare e comporre musica. Nel regno gli successe il figlio bambino, Cupavone.  Afferma Pausania : «Il cigno è un uccello dalla fama di musico; si dice infatti che un musico di nome Cycnus sia stato re dei Liguri, abitanti al di là del Po, oltre il territorio dei Celti, e che dopo la sua morte sia stato trasformato in quell'uccello per volontà di Apollo.». (Cigno in greco è kyknus e in latino cycnus). Secondo Servio, il Cigno, una volta morto, venne collocato da Apollo tra le stelle (costellazione del Cigno). Cicno è rappresentato anche in ambiente etrusco e umbro in vari bronzetti votivi, raffiguranti un guerriero che indossa un copricapo a forma di testa di cigno. Nei culti della protostoria e della tarda preistoria, in molte aree europee, il cigno e altri animali acquatici sono spesso presenti in motivi decorativi di corredi funebri,  legati ai riti dei defunti e al loro viaggio nell’aldilà. Sempre nella mitologia greca, i due figli di Poseidone, i fratelli giganti chiamati Albione (poi identificato con l'Inghilterra e/o Albis Intemelia, Ventimiglia ) e Dercino (o Bercino o Ligure), combatterono l'eroe mitologico greco Ercole nella Ligustica, quando l'eroe tornava a Creta portando le mandrie rubate a Gerione, presso Tartesso, nella sua decima fatica.

Stimolato dal racconto mitico della fondazione di Sanremo e della costituzione della Liguria stessa, cercherò di allineare le date che il "manoscritto anonimo" assegna agli eventi che narra, con i nostri riferimenti temporali, a.C. o d.C., che più correttamente dovrebbero essere espressi con p./a.e.v. oppure e.v..

1) Innanzitutto analizziamo il primo periodo con datazioni: « il Bardi, che scrisse che Legistro fundò i popoli della Liguria gl'anni del mondo 2118 » e « Fetonte, con Ligure suo figlio, furon quelli che con la loro famiglia condussero dall'Egitto in Italia colonie: (e cita fonti storiche, N.d.R.). Il Bardi, nel suo Compendio istorico [Girolamo Bardi (Firenze1544-1594), monaco camaldolese, scrittore, pubblicò il “Sommario overo età del mondo chronologiche (da Adamo al 1581)” in 4 volumi, a Venezia, ed. Giunti, nel 1581. N.d.R.], segna due venute in Italia di Faetonte: la prima l'anno 2110 (così a detto anno, e pag. 43), la seconda all'anno 2160, pag. 45, dove scrive: "Ligure fu gratamente raccolto da Siccano re, il quale le assegnò quella parte del Genovesato, detta poi Liguria ". Emanuele Tesauro, nelle annotazioni del suo primo libro dell'Istoria di Torino, scioglie un dubio, se Fetonte e Ligure conducessero tante colonie e persone da popolare una intiera provincia; con l'auttorìtà de quasi tutti gli istorici dice: "Ligure o Fetonte, racogliendo da monti e da campi gli uomini sparsi, gli incorporò con i suoi, formandone le colonie, quali fondò nella Liguria e montana e piana", et in quel tempo già splendea l'alta città di Genova fondata da Giano, come insegna il Veneroso, nel suo Genio ligure risvegliato [Giovanni Battista Veneroso “Il genio ligure risvegliato” edito a Genova nel 1650, N.d.R.], onde si conosce che la riviera di Genova era già abitata; dall'istesso Caio Sempronio: "colonias adiecit; Liguriam dixit", e che detta riviera ricevesse il solo nome e gli accrescesse gl'abitanti e probabilmente fondasse quelle sue colonie o accrescesse quelle popolazioni con i suoi coloni in quei tenitori e luoghi più salubri per l'aria, fertili, dilettevoli et ameni che ritrovare potesse. »

Sono tre i riferimenti per i tempi storici utilizzati dagli studiosi dell'età moderna:
1) l'anno del mondo, cioè l'anno della Creazione del Mondo e di Adamo, che potrebbe essere un riferimento al calendario ebraico (o di Nippur), che conta gli anni a partire dal 3760 a.C.;
2) il numero dell'Olimpiade, e noi sappiamo che la prima avvenne nel 776 a.C. e inoltre che l'evento si ripeteva ogni 4 anni, per cui la 60° Olimpiade, (240 anni dopo la prima) dovrebbe essere avvenuta nel 536 a.C..
3) l'anno di Roma, cioè il tempo trascorso dalla fondazione di Roma (ab Urbe condita), che noi datiamo nel 753 a.C..

Dalla pubblicazione di G. Bardi Sommario overo età del mondo chronologiche” del 1581 (QUI), citato nel "manoscritto anonimo": 

« Vol.I
                                         Prima Età del Mondo
a pg. 1 - Anni del mondo       I,                              Anni di Adamo I ;
                                                         CREATIONE DEL MONDO
a pg.14 - Anni del mondo 1656,                               Anni di Seti I;
                                                           DILVVIO VNIVERSALE
                        inizio della Seconda Età del Mondo
a pg.17 - Anni del mondo 1659,                                Anni di Arfaʃat I;
                                                           Arfaʃat, Figliuolo di Semi...
a pg.25 - Anni del mondo 1765,                                Anni di Faleg 8,                     Anni de Rè d'Italia I;
                                        ...la Italia, ... ʃortito ʃi fatto nome da Italo Rè di Sicilia,
a pg.26 - Anni del mondo 1789,                                Anni de Rè d'Aʃʃiria I,           Anni de Rè d'Italia 25;
                                    Nembrotto primo Rè de gli Aʃʃiri cominciò à regnare gli an-...
                        inizio della Terza Età del Mondo
a pg.35 - Anni del mondo 1950,                                 Anni de Monarchi 45,           Anni de Rè d'Italia 26;
                                     Nino guerreggiato lungamente cö Zoroaʃtro finalmente ve
                                     nuto à giornata campale lo ʃuperò et reśtaurò ampliando
                                     la gran Città di Ninue.
                                     Hebbe queʃt'anno principio la terza età del mondo. La
                                     quale durò fino alla creatione del Regno di David, che fù
                                     d'anni 842.
               Anni del mondo 1956,                                 Anni de Monarchi 51,             Anni de Rè d'Italia 32;
                                     Nino ʃuperati di nuovo i Battriani, vcciʃe Zoroastro, et poco
                                     dopo Brazene.
                                     I Fanceʃi haueuano per Rè loro Samote figliuolo di Magog.
a pg.36                          Era Rè d' Asʃiria Nino, et d'Italia Giano.
a pg.43 - Anni del mondo 2104,                                Anni de Monarchi I,                Anni de Rè d'Italia 37;
                                     Tagete ʃettimo Rè d'Italia, ʃucceʃʃe nel Regno gl'anni del mö
                                     do anni 2104. et vi regnò anni 42.
               Anni del mondo 2110,                                 Anni de Monarchi 7,                 Anni de Rè d'Italia 3;
                                     Iacopo, et Eʃau nacquero d'Iʃac et di Rebecca in un partò.
                                     Faetonte paʃʃato dello Egitto in Italia, ui fù gratamente rac-
                                     colto da Tagete.
                Anni del mondo 2113,                                 Anni de Monarchi 10,              Anni de Rè d'Italia 6;
                                      Genuino figliuolo di Faetonte edificò la Città di Genoua.
                Anni del mondo 2114,                                 Anni de Monarchi 11,              Anni de Rè d'Italia 7;
                                      Venuto Faetonte in Italia, ottenne da Tagete gran parte del
                                       Regno; et l'Italia fù in tre parti oppreʃʃa da fuochi grandi.
               Anni del mondo 2118,                                  Anni de Monarchi 15,            Anni de Rè d'Italia 11;
                                      Faetonte dimorato quattro anni in Italia, dopo lo incendio ri-
                                      tornò in Etiopia, laʃciandoui Ligure ʃuo figliuolo.
a pg.44 - Anni del Mondo 2146,                                 Anni de Monarchi I,                Anni de Rè d'Italia 9;
                                      Sicano 8. Rè d'Italia preʃe il Regno dopò Tagete gli anni del 
                                      mondo 2146. et regnò anni 30.
a pg.45 - Anni del mondo 2160,                                  Anni de Monarchi 15,           Anni de Rè d'Italia 23;
                                      Ligure paʃʃato con vna Colonia d'Egitto in Italia, vi fu grata-
                                      mente raccolto da Giano, il quale gli aʃʃegnò quella parte del Ge
                                      noueʃato, detta poi da lui Liguria.
a pg.76 - Anni del mondo 2788,                                  Anni de Monarchi 31,         Anni de Rè Latini 2;
                                       Meʃʃentio urnuto à giornata con Enea fù superato con morte
                        inizio della Quarta Età del Mondo
a pg.81 - Anni del mondo 2890,                                  Anni de Monarchi 31,           Anni de Rè Latini 4;
                                       La quarta età cominciò queʃt' anno da Dauid, et durò fino
                                       alla cattività di Babilonia,che fù de anni 493.
a pg.97 - Anni del mondo 3192 I   Olimpiade,             Anni de Rè Babiloni 5,          Anni de Rè Latini 24;
                                       Il Giuoco Olimpico ne gli anni adietro inʃtituito da Hercole,
                                       Thebano, fù queʃt' anno 3192. rinouato da Ifete Eolco, in me-
                                       moria del progenitore della ʃua śtirpe Hercole.
                      inizio della Quinta Età del Mondo
a pg.99 - Anni del mondo 3217,                                  Anni de Rè Babiloni 11,       Anni de Rè di Roma 2;
                                       Romolo et Remo laʃciato il Regno al Zio Numintore,o pur co
                                       me dicono alcuni altri, eʃʃendo morto Numintore, träferirono il Re
                                        gno nella nuoua Città di Roma,riquadrata,et agrädita queʃt'an.
                                        inizio della Quinta Età del Mondo...
a pg.113 - Anni del mondo 3363,                                 Anni de Rè Babiloni 19,       Anni de Rè di Roma 11;
                                       Gieruʃalemme Città Santa, aʃʃediata duoi anni, fù finalmen
                                        te presa, il popolo fu condottonprigione in Gieruʃalemme,
                                        doue ʃtette 70. anni priuo della patria;
a pg.123 - Anni del mondo 3459,                                 Anni de Rè Babiloni 14,      Anni de Rè di Roma 26;
                                       Tarquinio ʃuperbo non hauendo vendicata la offeʃa di Lucre-
                                        tia, fù nel fin dell'anno ʃcacciato de Bruto del Regno.
a pg.124 - Anni del mondo 3460,                                 Anni de Rè Babiloni 15,              Anni di Roma 245;
                                       Lucio Giunio Bruto /     Lucio Tarquinio Collatino } Consoli
a pg.313 - Anni del mondo 3920 Olimpiade           183, Anno de Monarchi 3,                Anni di Roma 705;
                                       Caio Claudio Marcello ij / Lucio Lentulo Cruʃcello} Consoli
a pg.328 - Anni del mondo 3940 Olimpiade 188,       Anni de' Re di Giudea 9,      Anni de gli Imperadori I;
                                       Era Re di Giudea Herode Aʃcalonita.
Vol II
                      inizio della Sesta Età del Mondo
a pg.2 - Anni del Mondo 3967,                         Anni di Christo I,                     Anni de gli Imperadori 28;
                                                   VIVEVA TRA MORTALI GIESV CHRISTO.
a pg.3 - Anni del Mondo 3968 Olimpiade 195,           Anni di Christo 2,              Anni de gli Imperadori 29;
                                         Al tempo de' quali nato Giesu Chriśto,otto giorni doponfu Cir
                                        cunciʃo in Gieruʃalemme, et adorato da Magi, gli furon fatti pre
                                        tiosi doni, onde Herode l'empio fatti uccidere i fanciullo di Bette
                                        leme,Gieʃu paʃsò in Egitto,doue caʃcarono tutte le ʃtatue deì falʃi Dij.
a pg.17 - Anni del Mondo 4000 Olimpiade 203,          Anni di Christo 34,           Anni de gli Imperadori 18;
                                         Gneo Domitio Eneobarbo / Aulo Vitello Nitote } Conʃoli.
                                        Al tëpo de'quali Gieʃu Chriʃto Saluatore et Redĕtore del Mö
                                        do nel 34.anno della ʃua età,nel fin del ʃecŏdo.et nel principio del
                                        terzo di d'Aprile dell'anno della creatione del Mödo 4000, et
                                        della edificatione di Roma 786. p la redĕtione degli huomini fu
                                        appaʃʃionato,crucifiʃʃo,morto,et ʃepolto, dalla perfidia der' Giudei,
                                        eβëdo Monarca de' Romani Tiberio Auguʃto,nel 18.anno del ʃuo
                                        Imperio:et Procuratore di Giudea Pötio Pilato,et Re di Galilea
                                        Herode ʃecödo,et sömo Pötefice de' Giudei Caifa.Il quale il terzo
                                        giorno riʃuʃcitato, ʃtette co' ʃuoi diʃcepoli giorni quaranta, dipoi
                                        ʃalito al Cielo,dopo dieci giorni mandò lo Spirito Santo sopra i fe
                                        deli Apoʃtoli, hauendo prima conʃtituito ʃuo Vicario ʃupremo in
                                        terra S.Pietro, il quale preʃo il Pontificato del 4000. nel 34. di
                                        Chriṥto, lo tenne anni 34. et meʃi 3. et giorni 4. et ordinato S.
                                        Iacopo fratello del Signore, Veʃcouo di Gieruʃalemme, conuertì
                                         molti Hebrei: S.Stefano fu lapidato, onde hebbe principio la
                                         prima perʃecutione de' Chriṥtiani: et molte altre ʃante opera-
                                         tioni furono fatte da' Santi Apoṥtoli,eʃʃendoʃi oʃcurato il Sole,
                                         tremata la terra,reʃuʃcitati molti corpi de' Santi Padri, et il ve-
                                         lo del Tempio diuiʃo in due parti.
                                         Non ceʃʃaua lo efferato Tiberio ingolfarʃe nella crudeltà , et
                                         nella luʃʃuria, facendo indifferentemente morire ciaʃcuno di chi
                                         piu ʃoʃpettaua: Seiano temendo l'ira di Tiberio ʃe ʃteʃʃo ucciʃe,
                                         et molti altri periuano per la crudeltà della moglie. Non ʃi met
                                         teranno per l'auenire piu i Conʃoli, quantunque tal dignità du-
                                         raʃʃe lungamente, per eʃʃ piu toʃto la Rep. vna imagine di liber-
                                         tà,che perche la foβe tale: oltre,che tutte le coʃe ʃeguenti non ʃo
                                         o ʃtate trattate da particolari, ma dal Principe iʃteʃʃo,di modo,
                                         che non ci ʃeruono à coʃa,che rillieui, ma ʃe altri piu minutamen-
                                         te lo deʃideraʃʃe,legga la noʃtra Chronologia vniuerʃale, che chia
                                         ramente ʃi vederanno.
                                                 S.Giouanni, S.Natteo, S.Marco, S.Luca, Euangeliʃti.
                                                    Negli Atti al 1.2.3. Euʃebio al 2. Giuʃeppo al 18.
                                                       Oroʃio al 7. Eutropio al 7. Tacito al 4.et 5.
                                                                       Suetonio in Tiberio.
a pg.18 - Anni del Mondo 4001 ,                       Anni di Christo 35,                     Anni de gli Imperadori 19;
                                            I Perʃi ʃi ribellarono da Romani, Pilato fu confinato in Lione,... »

Appuriamo quindi che per il Bardi, l'Anno del Mondo 3967 coincide con l'Anno 1 d.C., da cui si ricaverebbe che l'Anno del Mondo 3966 coincida con l'Anno 1 a.C. o p.e.v. (o -1), fissando quindi l'anno 0 del mondo al 3967 a.C., l'anno 1 del mondo al 3966 a.C. e così via, per cui:
l'Anno del mondo 1956, 2011 anni prima dell'1 d.C., coinciderebbe col 2011 a.C., dove il Bardi annota "Nino ʃuperati di nuovo i Battriani, vcciʃe Zoroastro, et poco dopo Brazene. I Fanceʃi haueuano per, Rè Samote figliuolo di Magog. Era Rè d' Asʃiria Nino, et d'Italia Giano;
l'Anno del Mondo 2110, 1857 anni prima dell'1 d.C., coinciderebbe col 1857 a.C., dove il Bardi annota "Faetonte paʃʃato dello Egitto in Italia, ui fù gratamente raccolto da Tagete." che poco sopra aveva definito "ʃettimo Rè d'Italia, ʃucceʃʃe nel Regno gl'anni del mödo anni 2104.";
l'Anno del Mondo 2113, 1854 anni prima dell'1 d.C., coinciderebbe col 1854 a.C., dove il Bardi annota "Genuino figliuolo di Faetonte edificò la Città di Genoua.";
l'Anno del Mondo 2114, 1853 anni prima dell'1 d.C., coinciderebbe col 1853 a.C.: "Venuto Faetonte in Italia, ottenne da Tagete gran parte del Regno; et l'Italia fù in tre parti oppreʃʃa da fuochi grandi.";
l'Anno del Mondo 2118, 1849 anni prima dell'1 d.C., coinciderebbe col 1849 a.C.: "Faetonte dimorato quattro anni in Italia, dopo lo incendio ritornò in Etiopia, laʃciandoui Ligure ʃuo figliuolo.";
mentre l'Anno del Mondo 2160, 1807 anni prima dell'1 d.C., coinciderebbe col 1807 a.C.: "Ligure paʃʃato con vna Colonia d'Egitto in Italia, vi fu gratamente raccolto da Giano, il quale gli aʃʃegnò quella parte del Genoueʃato, detta poi da lui Liguria.".

Possiamo così avere un quadro di quelle che il nostro "autore anonimo" considera le gerarchie dell'epoca, anche se rilevo che mentre nel "manoscritto anonimo" scrive per l'Anno del Mondo 2160: "Ligure fu gratamente raccolto da Siccano re, il quale le assegnò quella parte del Genovesato, detta poi Liguria ", il Bardi scrisse "Ligure paʃʃato con vna Colonia d'Egitto in Italia, vi fu gratamente raccolto da Giano, il quale gli aʃʃegnò  quella parte del Genoueʃato, detta poi da lui Liguria.". Nel resoconto del Bardi poi, nell'Anno del mondo 1956 Giano era Re d'Italia e nel 2104: "Tagete ʃettimo Rè d'Italia, ʃucceʃʃe nel Regno...et vi regnò anni 42.", quindi fino al 2146, quando "Sicano 8. Rè d'Italia preʃe il Regno dopò Tagete gli anni del mondo 2146. et regnò anni 30.". Per cui nell'opera del Bardi, il Giano che nel 2160 assegna la Liguria a Ligure, non può che essere Genuino, fratello di Ligure stesso, che nel 2113: "Genuino figliuolo di Faetonte edificò la Città di Genoua.", mentre il nostro "autore anonimo" preferisce glissare l'attribuzione direttamente al re d'Italia contemporaneo.

Insomma, una gran confusione. Per quello che riguarda le datazioni, un altro autore, Francesco Crivelli, nel suo "COMPENDIO CRONOLOGICO-STORICO estratto per indici della carta titolata SERIE ANALITICA della successione degl'imperj" edito da Matvrandvm in Verona dalla tipografia Mainardi nel 1817", ( QUI ) afferma nella sua prefazione dell'opera: "La conformazione materiale della suddetta Carta Cronologica (il presente testo, N.d.R.) porgendo al primo aspetto varj delineamenti, che potrebbero forse da taluno esser tenuti di niun conto, e piuttosto disegnati per dilettar l'occhio, che per facilitare lo studio della Storia, mi obbliga di tracciare alcuni brevi riflessi, coll'ajuto de' quali riuscir possa facile a chiunque il conoscere lo scopo di questa invenzione onde ottenerne il desiderato profitto. Il fiume, che esce dalla mano di Dio, indica il Genere Umano, il quale continuando il suo corso si divide poscia in altrettanti Rivi, quante furono le diverse Nazioni che primeggiarono sulla Terra. Ogni Rivo adunque è uno stato imperante; dove esce dimostra l'epoca del suo principio; e dove entra in qualche altro fiume, indica il punto del suo annilichimento. I cenni, che nei detti Rivi si leggono, servono a far conoscere i motivi dell'ingrandimento, o della decadenza delle Nazioni medesime. I secoli vennero distinti con linee orizzontali; cosicchè lo spazio, che rimane fra una linea e l'altra, dinota il periodo di cent'anni. Né margini poi della Carta fra linee perpendicolari fu comparata l'Era della Creazione del Mondo con quella delle Olimpiadi, degli anni di Roma, e degli antecedenti a Gesù Cristo: servendo per unica guida dopo il tremille novecento ed ottantaquattro del Mondo l'epoca memorabile della nostra Redenzione", intendendo probabilmente che la nascita del Cristo sia avvenuta nel 3.985° Anno del Mondo, datando quindi l'anno 0 del mondo al 3.984 a.C., diciannove anni quindi di differenza rispetto al 3.965 a.C. di G.Bardi 236 anni prima, una divergenza, tutto sommato, sostenibile. Il più antico calendario del mondo è quello ebraico, che conta gli anni a partire dal 3.760 a.C.. Pare che tale calendario sia di origine babilonese, mentre secondo Zecharia Sitchin fu adottato in tale anno dalla città sumerica di Nippur. Abramo, che era sumero (nei testi biblici si scrive chiaramente che era emigrato dalla città di Ur), introdusse quel calendario nei territori cananei e potrebbe essere quindi quello il riferimento dei nostri storici dell'età moderna agli “anni del mondo”.

Da quando è nata l'archeologia, abbiamo potuto riconsiderare i tempi storici, grazie anche alla geologia. Il primo archeologo famoso è stato Heinrich Schliemann (Neubukow, 6 gennaio 1822 - Napoli, 26 dicembre 1890), imprenditore tedesco che divenne una delle figure più importanti per il mondo dell'archeologia grazie alla scoperta, dopo anni di ricerche e studi, della mitica città di Troia e del cosiddetto tesoro di Priamo. Vediamo dunque, alla luce delle ricerche archeologiche, com'era l'Europa nel 2000-1800 a.C., o più correttamente, prima dell'era volgare:

Carta delle regioni e isole della Grecia
con Creta a sud, in viola, e le isole
Cicladi al centro, in rosa.
Dal 2.000 a.C. - I Pelasgi, popolazioni migrate dall'Asia minore nel IV millennio a. C., furono probabilmente fra le prime a raggiungere l'Europa mediterranea da est, e svilupparono in Europa la loro cultura. Lo storico Eforo riferisce di un brano di Esiodo che attesta la tradizione di un popolo dei Pelasgi in Arcadia e sviluppa la teoria che fosse un popolo di guerrieri diffusosi da una "patria" che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia, e a loro fanno menzione gli autori antichi, da Dodona a Creta alla Triade fino in Italia, dove i loro insediamenti sono ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni e sono in stretta relazione con i "Tirreni" (da cui derivarono gli Etruschi). La caratteristica struttura della muratura della cittadella di Atene ha fatto sì che tutte le costruzioni in blocchi non squadrati e senza l'uso di malta abbiano avuto il nome, di "muratura pelasgica" esattamente come talvolta sono dette "mura ciclopiche", cioè costruite dai Pelasgi. Probabilmente, la realtà storica dell'invasione ellenica della Grecia fu raccontata attraverso il mito della titanomachia: i fratelli Ade, Poseidone e Zeus impersonificano ioni, eoli e achei che soggiogano Crono e i suoi fratelli giganti Titani, ossia i Pelasgi adoratori delle divinità titaniche.

Antica imbarcazione egizia con vela.
- In questi anni, nel Mar Mediterraneo orientale entra in uso la vela nella navigazione, e non solo da parte dei minoici.

Antica nave cretese con
vela e chiglia, per le
navigazioni in alto mare.
- A Creta prosegue l'edificazione di grandi palazzi minoici. Con la costruzione di natanti adatti a lunghi percorsi in altomare, i Cretesi attuano la loro Talassocrazìa, il dominio del mare, scambiando merci con le città più forti e razziando le città più deboli con veri e propri atti di pirateria.
Creta e la sua area di influenza
nel mar Egeo.
Intorno a 1700 a.C. avverrà la prima distruzione dei palazzi di Cnosso e Festo, non si sa se a causa di un terremoto o di un'invasione. I Cretesi reagiranno facendo fiorire rapporti commerciali con il Mediterraneo orientale e fondando numerose colonie nel mare Egeo. Poi fra il 1650 e 1600 a.C., l'eruzione che ne determinerà il declinio.
Intorno al 1628 a.C. vi fu la seconda grande distruzione, dovuta all'eruzione vulcanica dell'isola di Thera (l'odierna Santorini), e l'indebolimento conseguente a questo cataclisma favorirà la conquista degli Elladici-Micenei dal XV secolo a.C. Forse Platone ha derivato il mito della distruzione di Atlantide dall'eruzione di Thera, che faceva parte dell'impero di Creta. Vedremo poi perché nel 1.628 a.C.
Pianta del monumento
megalitico di Stonehenge.

Ricostruzione di come doveva essere
il "cromlech" di Stonhenge.
- A Stonehenge, nel Wessex,
in Inghilterra, viene edificato un 
grande monumento megalitico.

- La Civiltà Cicladica raggiunge il massimo splendore intorno al 2.000 a.C., quando viene edificato il santuario di Delo (nell'isola di Delos, vedi cartina qui sotto), dedicato ad Artemide.
La Civiltà Cicladica subirà poi l'influenza di Creta, che le imporrà con il tempo,                                                                      il suo definitivo dominio.
Carta della Grecia nel 2000 a.C. con le isole Cicladi, Rodi e
Creta con le sue proto-città. Micene non esisteva ancora.
Le Cicladi con i nomi in greco.













Carta delle invasioni di Ioni e Achei
nell'antica Grecia dal 2000 a.C.,
dei Dori dal 1200 a.C., con i monti
Olimpo, Parnaso, Elicona, Taigeto.
- Nell'ambito di periodiche migrazioni di popoli nella penisola greca, dopo i Pelasgi, verso il 2.000 a.C. giunse in Grecia la popolazione guerriera degli Ioni, o Yoni.
La Y degli
Ioni.
Erano chiamati Yoni poiché portavano un bastone biforcuto a forma della lettera Y per simbolizzare i genitali femminili (pare fossero infatti portatori di una cultura matriarcale). Gli Ioni (in greco antico Ἴωνες, Íōnes) sono la prima delle tre popolazioni elleniche che invasero l'antica Grecia nel II millennio a.C. Secondo la leggenda, il mitico capostipite degli Ioni fu Ione, secondo altre versioni erano figli di Io. Secondo alcuni studiosi, gli Ioni migrarono per dissidi con altre culture dall'oriente poiché erano matriarcali, e la loro lettera Y era scritta come nell'immagine qui sopra, a indicare il pube femminile, e tale era la forma del bastone portato da sacerdoti e sacerdotesse, che si vestivano di rosso porpora (il colore che determinò il nome Fenici) come riferimento al mestruo, contrariamente al colore bianco portato dai sacerdoti delle culture patriarcali, evocanti il seme maschile. Probabilmente, la realtà storica dell'invasione ellenica della Grecia fu raccontata attraverso il mito della titanomachia: i fratelli Ade, Poseidone e Zeus impersonificano ioni, eoli e achei che soggiogano Crono e i suoi fratelli Titani, ossia i Pelasgi adoratori delle divinità titaniche.
Carta delle regioni della penisola
Anatolica con in giallo la Ionia.
Il termine Ioni, forse originario dell'Asia minore, designa gli abitanti dell'Attica, in cui fu fondata Atene, e dell'Eubea, oltre che della Ionia vera e propria, la parte occidentale dell'Asia Minore colonizzata in tempi più recenti. Verso la fine del II millennio a.C. gli Ioni, pressati dalle migrazioni di altre popolazioni, migrarono dal continente verso le coste dell'Asia minore, dove più tardi diedero vita ad una confederazione religiosa di dodici città, incentrata sul santuario di Posèidon a Panionion, presso Mycale. Dal VII secolo a.C. le città ioniche caddero sotto il dominio della Lidia e, dopo la sconfitta di Creso, sotto quello persiano. Nel 480 a.C., in seguito alle Guerre persiane, gli Ioni tornarono indipendenti, ma nella sfera d'influenza di Atene. Per liberarsi dal dominio ateniese, si schierarono con Sparta, nella guerra del Peloponneso, ma ricaddero sotto il dominio persiano per gli accordi della Pace di Antalcida, nel 386 a.C. La lega ionica fu poi ricostituita da Alessandro Magno. In seguito le città ioniche entrarono nella sfera d'influenza di Pergamo e dal 133 a.C. fecero parte della provincia romana d'Asia.

Nuraghe sardo.
Dal 1.900 a.C. - In Sardegna vengono edificati i nuraghi.
Sardegna: Tomba dei Giganti.
Il nuraghe è un tipo di costruzione megalitica di forma tronco conica presente con diversa densità su tutto il territorio della Sardegna. Monumenti rappresentativi della Civiltà nuragica, i nuraghi furono costruiti nel II millennio a.C., a partire dal 1.900 a.C. Nello stesso periodo storico, sempre in Sardegna, venivano edificate le misteriose "Tombe dei Giganti".

Biblo, tempio fenicio degli obelischi.  
- La prima menzione dei Popoli del Mare, databile dal 2.000 al 1.700 a.C., compare nell'obelisco di Biblo, dove viene nominato Kwkwn, figlio di Rwqq, transliterato Kukunnis figlio di Lukka. I Popoli del Mare sarebbero una presunta confederazione di predoni del mare provenienti dall'Europa meridionale, specialmente dall'Egeo, che navigando verso il Mar Mediterraneo orientale sul finire dell'età del bronzo invasero l'Anatolia, la Siria, Canaan, Cipro e l'Egitto. I "Popoli del Mare" sono documentati dalle fonti scritte egizie durante la tarda Diciannovesima Dinastia e in particolare durante l'ottavo anno di regno di Ramses III, della Ventesima Dinastia, quando tentarono di ottenere il controllo del territorio egizio. Nella Grande iscrizione di Karnak il faraone egizio Merenptah parla di "nazioni (o popoli) stranieri del mare".

Reperto con la scrittura
"Lineare A".
Nella Civiltà Minoica entra in uso la scrittura "Lineare A". La Lineare A è uno dei due sistemi di scrittura utilizzati nell'isola di Creta prima del sistema di scrittura dei greci micenei detto Lineare B, insieme ai geroglifici cretesi. Durante il periodo minoico, prima del dominio miceneo, la Lineare A fu utilizzata come scrittura ufficiale nei palazzi e per i riti religiosi, mentre i geroglifici venivano utilizzati soprattutto sui sigilli. Questi tre sistemi di scrittura furono scoperti da Arthur Evans, che gli dette il nome utilizzato attualmente. Nel 1952, Michael Ventris scoprì che la Lineare B veniva usata per mettere per iscritto una primitiva forma di greco, nota oggi come miceneo. Insieme ad altri utilizzò questa scoperta per decifrare la Lineare B, decifrazione tutt'oggi ampiamente accettata, anche se rimangono molti punti da chiarire. Il fallimento nel determinare la lingua trascritta con la Lineare A ha impedito lo stesso tipo di progresso fatto con la Lineare B nella sua decifrazione. Sembra che la Lineare A sia stata utilizzata come sillabario completo intorno al 1.900 - 1.800 a.C., anche se svariati segni apparvero già in precedenza. È possibile che la scrittura troiana rinvenuta da Heinrich Schliemann ed una iscrizione rinvenuta nella zona centrale di Creta, così come alcuni marchi su ceramica da Lahun, Egitto (12esima dinastia) provengano da un periodo precedente, circa 2.100 - 1.900 a.C., il quale è il periodo della costruzione dei primi palazzi. I sistemi di scrittura adottati a Creta e poi in Grecia prima dell'introduzione dell'alfabeto, vengono distinti con le designazioni di scrittura lineare A (dal 1600 a.C. al 1400 a.C.) e scrittura lineare B (dal 1450 a.C. al 1200 a.C.). La A, con 85 segni, è diffusa in tutta l'isola di Creta, mentre la B, con 88 segni, nell'isola è rinvenuta solo a Cnosso, ma si trova anche nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene.
Carta con Fiavè, in Trentino.
La lineare A costituisce ancora notevoli problemi per la sua decifrazione, sembra inoltre che dietro questa scrittura si celi una lingua non indoeuropea. La lineare B, grazie all'opera di Michael Ventris, è ormai facilmente decifrabile e serviva per trascrivere un dialetto greco dalle caratteristiche molto arcaiche.

- Nel sito palafitticolo di Fiavè, in Trentino, nel corso del XVIII-XVI sec. a.C., vennero edificati almeno due nuclei d'abitato secondo il classico modello della palafitta in elevato sull'acqua di cui si conservano e sono visibili i pali portanti, alcuni di oltre 9 metri di lunghezza.

Mentre per quello che riguarda l'origine delle popolazioni di Liguri, le scoperte archeologiche danno le seguenti date:

Diffusione dell'aplogruppo
R1b in Europa.  
Nel 10.000 a.C. - L'Europa occidentale è abitata da una civiltà proto-Ligure che parlava una lingua di cui il basco è una reliquia. Questa civiltà, autoctona e non indoeuropea, che si rivelerà poi a vocazione megalitica, potrebbe essere derivata dai gruppi del genere Cro-Magnon stanziati nell'Europa occidentale meridionale e discendenti da popolazioni migrate dall'Africa attraverso lo stretto di Gibilterra, visto che l'area dove si sono rinvenuti la maggioranza dei megaliti più antichi sono stati ritrovati sia a nord che a sud dello stretto, e il megalitismo si è espanso dal sud della penisola iberica fino al nord-europa britannico e scandinavo. Secondo un rilevamento dell'eredità genetica degli Europei, l'aplogruppo R1b è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del clima a partire da 14.000 anni fa. E' presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale. L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea, associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi  europei.  Durante il Neolitico i migranti introducono le varianti E3B1 e J2, il 27% delle variazioni genetiche totali, basate sull'analisi dei polimorfismi indicano un chiaro gradiente di distribuzione della  popolazione italiana sull'asse nord-sud della penisola. Le variazioni introdotte nel Neolitico non sembrano essere dovute a flussi migratori provenienti dalla Spagna, ma si configurano come migrazioni provenienti dall'Asia o dall'Anatolia attraverso l'attuale area Balcanica: le migrazioni degli indoeuropei.

Dal 7.000 p.e.v. (a.C.) - Attraverso la navigazione, tra le popolazioni del Neolitico mediterraneo si creavano legami sociali e culturali. La ceramica ed anche i beni deperibili contenuti nel vasellame in terracotta potrebbero, dunque, essere annoverati tra gli oggetti che erano veicolati via mare già dall’inizio del VII millennio a.C. In questo periodo si sono ulteriormente sviluppati i commerci via terra. Attraverso i valichi dell'entroterra Finalese, conosciuti anche ai nostri giorni con gli attuali toponimi di Colle del Melogno, Madonna della Neve (o Giogo di Rialto), Colla di San Giacomo (collegata alla Colla di Magnone, che la metteva in comunicazione con la Val Ponci), dalle valli finalesi, uomini e merci potevano raggiungere la Val Bormida e, da qui, la Valle del Po.

Nel 6.000 p.e.v. (a.C.) - E' in corso la migrazione degli Indoeuropei  verso l'Europa, verso Iran e Afganistan e verso i fiumi Indo e Gange, in India. Nella penisola iberica, affluisce la stirpe camita-berbera dall'Africa.

Ricostruzione della
foce dell'antico
Tartesso (il
Guadalquivir) e del
lago Ligustinus o
Ligur che formava,
oggi insabbiato ma
in cui sono rimasti
i toponimi di Isla
Mayor e Isla
Minima.
- E' dal Neolitico che abbiamo le testimonianze di una popolazione che verrà poi chiamata Ligure, nome derivato dalla parola indo-europea liga che significa «luogo paludoso» o «acquitrino», un termine che troviamo ancora oggi nel francese «lie» nel provenzale «lia», forse per l'ubicazione palustre del Lago Ligustico, situato presso la foce del fiume Guadalquivir (l'antico Betis o Tartesso), nel territorio dove oggi sorge Siviglia, in Spagna.
Ubicazione di Isla Mayor e Isla
Minima (Siviglia).  
Il lago non esiste più, ma rimangono i toponimi della sua esistenza nel nome della circoscrizione didattica e in due siti chiamati Isola Maggiore e Isola Minima. Non sappiamo come i Liguri chiamassero se stessi: presumibilmente ogni tribù aveva il proprio nome, derivato da un capostipite, come nel caso dei Siculi o degli Ambrones, o da una zona geografica, come Ingauni e Intemeli, o ancora dalla loro divinità, come i Jenuensis da Jano (Giano).

Dal 5.400 p.e.v. (a.C.) - La cultura della ceramica impressa si diffuse in Europa nella prima metà del VI millennio a.C., e una variante è la ceramica impressa detta "ligure", diffusa nell'Italia nord-occidentale e sulle coste francesi, con occupazione di aree differenti da quelle con tracce di frequentazione mesolitica. Nella seconda metà del VI millennio a.C., all'incirca a partire dal 5400 a.C., si diffuse sulle coste mediterranee della penisola iberica e fino all'odierno Portogallo, la cultura della ceramica impressa cardiale, nella quale la decorazione a impressione era ottenuta mediante l'impressione del margine della conchiglia di Cardium. In generale rimasero numerosi gli insediamenti in grotta e le testimonianze di uno stile di vita forse seminomade, che induce ad ipotizzare una diffusione attraverso piccole comunità neolitiche di agricoltori provenienti dal mare che andarono ad occupare le aree lasciate libere dalle comunità mesolitiche locali di cacciatori e raccoglitori, le quali vennero progressivamente, ma lentamente assimilate.
La conchiglia Cardium.
Dalle coste si ebbe inoltre una lenta penetrazione verso l'interno (valle del Rodano, valle dell'Ebro). In Liguria la Ceramica Impressa Ligure è stata ritrovata quasi esclusivamente in depositi in grotta che presentano frequentazioni dell'Epigravettiano ma non del Mesolitico. Alcuni autori (P. Biagi - R. Nisbet, Popolazione e territorio in Liguria tra il XII e il IV millennio b.c., in AA.VV., Scritti in ricordo di Graziella Massari Gaballo e di Umberto Tocchetti Pollini, Milano 1986, pp. 19-27) sostengono un'origine autonoma di tale cultura a seguito di una crisi economica e tecnologica di gruppi mesolitici. La Ceramica Impressa ligure è stata individuata in numerose grotte e in siti transappenninici all'aperto e posti nei pressi dei corsi d'acqua. Lo scavo nella grotta delle Arene Candide ha permesso di raccogliere una ricca documentazione.
Orcio in Ceramica Impressa cardiale
rinvenuta a Valencia, Spagna.
Sono attestati dei collegamenti ad ampio raggio fra questa facies e altri ambienti culturali, in particolare padani, dalla circolazione di pietre verdi e giadeiti liguri per la realizzazione di manufatti levigati. La ceramica si distingue in due classi: una d'impasto grossolano di colore grigio o rossiccio decorata ad impressioni e cordoni ed un'altra con impasto depurato e con superfici ben levigate. Le forme tipiche della prima classe sono le tazze semisferiche e semiovoidali, ciotole a calotta, ollette globulari ad apertura ristretta, vasi a fiasco, orci ovoidali o troncoconici e vasetti con prese a linguetta forata e cordoni orizzontali. La decorazione impressa è eseguita con unghiate, con punzoni di vario tipo o con la conchiglia del Cardium (da cui ceramica cardiale). La fascia al di sopra delle prese può essere decorata con motivi angolari o a denti di lupo, mentre nella zona ventrale sono presenti fasce orizzontali interrotte da fasci verticali in corrispondenza delle anse. Le forme tipiche della seconda classe sono vasi a fiasco, tazze, bicchieri e piccoli vasetti.
Ceramiche antiche del nord Italia: ceramiche dei
protoCelti delle culture Canegrate e Golasecca,
ceramiche dei Liguri risalenti all'XI secolo a.C.,
ceramiche delle civiltà di Villanova e d'Este.

Diffuse sono le accette e le asce in pietra verde levigata. Tra gli oggetti di ornamento prevalgono le conchiglie forate; sono presenti anche metacarpali di lepre forati ad un'estremità e un canino di cervo. Dallo studio dei resti faunistici si deduce che in associazione agli animali selvatici (cervo, capriolo, orso) erano presenti, anche se in misura minore, gli animali domestici (ovicaprini, suini, bovini). Nell'economia infatti giocava ancora un ruolo importante la caccia, la pesca (attestata da vertebre, mandibole di pesce e due ami) e la raccolta dei molluschi (Trochus, Patella). Nello strato IIb della grotta della Pollera la ceramica recuperata è decorata quasi esclusivamente con una tecnica a graffito molto accurata, con incrostazioni di pasta gialla e rossa. I motivi decorativi sono costituiti da denti di lupo, triangoli e bande campiti prevalentemente a graticcio. Lo stile, denominato "stile della Pollera" è documentato anche nello strato 13 delle Arene Candide in cui sono presenti anche fasci di linee spezzate a zig-zag e il motivo a "bandierine". Tale orizzonte, in base alle datazioni radiocarboniche, si può datare alla seconda metà del V millennio a.C. Le datazioni radiocarboniche più antiche che provengono dalle Arene Candide e dalla Pollera si inquadrano tra la fine del VI e la prima metà del V millennio a.C. Durante il Neolitico Antico c’era, presumibilmente, una circolazione via mare, a lunga distanza, di persone e merci (incluse le ceramiche). Il reperimento di un cilindro di terracotta,  con una serie (5×12) di incisioni lineari, sulla sua superficie, ortogonali fra loro, formanti 60 caselle quadrate, rappresenta un oggetto unico nel panorama del neolitico italico. Si tratta, probabilmente, di un “Token”: termine inglese che si può tradurre come “segno stampato”, “contrassegno stampato”, ma che in termini archeologici indica un sistema di registrazione numerica. Il manufatto presenta, in 8 delle 60 caselle, un punto, impresso prima della cottura e, verosimilmente, sarebbe un antichissimo sistema di numerazione. Reperti simili si trovano in aree archeologiche, di epoche contemporanee al sito in esame, situate, soprattutto, in Medio Oriente: l’oggetto sarebbe unico fra i reperti del Neolitico italiano e potrebbe dimostrare la vastità delle influenze culturali e commerciali con popoli ed aree distanti del Mediterraneo Orientale, a loro volta legate a popolazioni più lontane di quanto fino ad ora considerato.

Dalla fine del quinto millennio, alla fine del terzo millennio a.C. (periodo che comprende il Neolitico e l'Età del Bronzo), si manifestarono in Europa delle civiltà legate al culto della pietra.
Altare sopra Arma Strapatente,
nel Finalese, in provincia di Savona.
Di Alfredo Pirondini da http://www.academia.edu/1527893/REPERTI
_ARCHEOLOGICI_DEL_FINALESE_E_NASCITA_DELLA
_RELIGIOSIT%C3%80_NELLA_PREISTORIA_UMANA: Vennero erette costruzioni megalitiche come Menhir semplici ed allineati, Dolmen, Cromlech (recinti megalitici), spesso vicino a rocce incise, considerate contemporanee ai megaliti limitrofi. Il significato di tale prossimità potrebbe essere spiegato come un segno della presenza del “sacro”. Le raffigurazioni di “oranti” avvalorerebbero, inoltre, questa ipotesi. Coppelle e canalette potrebbero, invece, essere state utilizzate come contenitori e collettori di liquidi (organici e/o meteorici) a scopi rituali . I “cruciformi” incisi su queste pietre sarebbero, invece segni di Cristianizzazione e, quindi, potrebbero essere considerati di epoca meno remota. Ciò indicherebbe una frequentazione di questi siti in periodo romano, medievale e, forse anche più recente, con finalità anche differenti da quelle originali (caccia, allevamento di animali).
Menhir a Bric di Pianarella,
nel Finalese, provincia di Savona.
Nella zona di Finale Ligure sono presenti strutture orientate astronomicamente: “Osservatorio” di Bric Pianarella (con annessa “casella”), Menhir e Dolmen di Verezzi, Dolmen di Monticello, Rocce Altare e Tavole in Pietra di Finale presenti sui maggiori rilievi della zona (Altari di Monte Cucco, di Bric Pianarella, della Rocca degli Uccelli, del Bric del Frate, dell'Arma Strapatente, del Bric di Sant'Antonino). Tutte queste strutture megalitiche sono in stretta vicinanza con rocce incise ampiamente conosciute  come il Ciappu de Cunche (o Ciappo delle Conche: il termine "ciappo", nel Finalese, indica una lastra di pietra), il Ciappu de Cunchette (Ciappo dei Ceci), il Ciappu du Sà (Ciappo del Sale), il Ciappo Pianarella, il Ciappo della Valle dei Frassini (per citare solo quelli più noti) con presenza di incisioni di oranti, croci, coppelle e canalette. La datazione dei reperti descritti costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i petroglifi si trovano in un luogo “aperto”, facilmente modificabile da fattori meteorici ed umani.
Dolmen dei tre pè di Castellermo,
a nord di Albenga, pr. di Savona.
La presenza di altre strutture simili in area Europea è, comunque, ben conosciuta. Ricordiamo, infatti, quanto riportato in numerosi studi che fanno riferimento al santuario di Panoias, (Portogallo settentrionale). Qui, accanto ad una grande roccia con vasche, canali e coppelle, scalini scavati nella roccia, vi è la seguente iscrizione latina risalente al III sec. d.C.: "HUIUS HOSTIAE QUAE CADUNT HIC IMM(ol)ANTUR EXTRA INTRA QUADRATA CONTRA CREMANTUR - SAN(gu)IS LAC(i)CULIS (iuxta) SUPERFU(ndi)TUR", traducibile con: “Qui sono consacrate agli dei le vittime che vi vengono abbattute: le loro interiora vengono bruciate nelle vasche quadrate e il loro sangue si diffonde nelle piccole vasche circostanti”. I grandi affioramenti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle descritte per il santuario di Panoias, presenti nel Finalese, potrebbero, almeno per un certo periodo, avere avuto una funzione analoga.
Dolmen di Monticello, nel comune di
Finale Ligure, provincia di Savona.
Il fatto, inoltre, che le “pietre-altare” siano costruite su luoghi elevati indica, probabilmente, la volontà di scegliere un sito appropriato dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane, tipica delle popolazioni celto-liguri. Dolmen e Menhir non sono, quindi, estranei all'area culturale del Finalese e subalpina come si pensava fino a poche decine di anni addietro. Si riteneva, infatti, che la cultura megalitica si fosse arrestata nella regione transalpina, senza  oltrepassare le Alpi. 
Dolmen di Roccavignale, in
provincia di Savona.
Unica eccezione era l'area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però attribuiti all'influsso di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica, attraverso l'Adriatico, in quanto, nel restante bacino del Mediterraneo, il megalitismo è ben rappresentato. Il lavoro di Puglisi "La Civiltà Appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia " alla fine degli anni '50 del secolo scorso e la scoperta, negli anni '60, della necropoli megalitica di Saint Martin de Corléan, ad Aosta, dimostrarono l'infondatezza di questa tesi. Del tutto recentemente sono stati descritti reperti di possibile interesse megalitico anche in Val Ceresio, come menhir, dolmen, strade megalitiche, incisioni rupestri.
La zona interessata dalle ricerche è poco conosciuta dal punto di vista archeologico, pur facendo parte dell'area golasecchiana. Con le dovute cautele, la datazione di tali reperti può essere fatta risalire al Neolitico ed all'Età del Bronzo, ad opera di popoli pre e/o protoceltici.
Dolmen di San Giovanni, presso
Massafra, in provincia di Taranto.
Recenti studi, basati sulle nuove metodiche di ICP/OES o AAS (acronimi per Induced Coupled Plasma/Optical Emission Spectroscopy o Atomic Absorption Spectroscopy) hanno dimostrato che la metallurgia era ampiamente conosciuta, nell'area oggetto del presente studio, già nella Media Età del Bronzo (1.600 - 1.350 a.C.) e che l'attività estrattiva era praticata anche in località minerarie della Valle stessa. La Val Ceresio sarebbe stata, quindi, fin dall'Età del Bronzo, parte di vie di scambio dei metalli fra il Mediterraneo, la Val Padana e l'Europa Transalpina. Nella seconda metà degli anni '80 del secolo scorso, sono stati identificati a Nord di Sanremo (nella provincia di Imperia) due tumuli sepolcrali circolari. Uno di questi, studiato con metodi stratigrafici dalla locale sezione dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, ha potuto essere attribuito alla fase finale dell'Età del Bronzo. [Alessi C. (2009) Sanremo (IM). Siti Archeologici a Monte Bignone. Archeomedia - Rivista di Archeologia On-line (settembre 2009)].
Menhir nei pressi di
Carmo dei Brocchi.
Andagna, in provincia
di Imperia.
Percorrendo, per circa 15 Km, la strada provinciale che da Molini di Triora (provincia di Imperia) conduce a Rezzo, si raggiunge Passo Teglia (1.387 m. s.l.m). Dalla sommità del valico si prende il sentiero che conduce, percorrendo trasversalmente la faggeta del Bosco di Rezzo, al Passo della Mezzaluna. Fra Passo Teglia ed il Passo della Mezzaluna , lungo la "Via Marenca" (o Marenga, del mare) di origine e frequentazione millenaria, troviamo il "Sotto" di San Lorenzo. Qui possiamo ammirare un masso altare, probabilmente utilizzato per sacrifici animali, con una coppella e relativo canaletto di scolo. Il masso è situato ai margini di una depressione del terreno (ora una dolina, probabilmente sede di un laghetto), nel punto illuminato per ultimo dal sole prima del tramonto. Nei pressi un antico insediamento pastorale sottoroccia, ricavato in uno sfasciume di massi adattati a ripari. Nel punto più alto della valletta (Passo delle Porte, nei pressi della cima di Carmo dei Brocchi), dal quale è possibile vedere il mare, una pietra conficcata nel terreno, contrassegna un luogo di raduno di particolare significato. Il menhir è alto circa due metri, largo 60 cm e spesso 10, e si presenta oggi inclinato su un fianco. Anche se non è possibile attribuirgli un'età, si tratta evidentemente di una testimonianza del mondo pastorale, che rispecchia quindi schemi di vita e di pensiero protrattisi immutati nei secoli. E' curiosa l'analogia (luna e stelle) dei nomi delle località: Mezzaluna e San Lorenzo, la cui notte (10 agosto) è la notte delle stelle cadenti.  
Il Dolmen di Verezzi, in
provincia di Savona.
Anche altri manufatti presenti in Liguria, come il Menhir ed il Dolmen di Verezzi, fino ad allora attribuiti, pur con riserve, alla civiltà contadina recente, hanno assunto un significato diverso e la scarsità di reperti megalitici in Italia, differentemente dalle regioni transalpine (specie nord-occidentali ed insulari), potrebbe spiegarsi con il maggiore avvicendamento di civiltà nel corso del tempo, fatto che avrebbe trasformato radicalmente l'aspetto del territorio, comportando la perdita di molti di questi artefatti. La presenza di Megaliti, può essere dunque considerata come un marcatore dei legami esistenti, già dal Neolitico, fra MediterraneoItalia Nord Occidentale ed Europa Transalpina. In questa prospettiva, la Liguria, grazie alle peculiarità geologiche, paleontologiche e paletnologiche descritte, può rappresentare un crocevia per tali scambi commerciali e culturali, già ampiamente documentati per le successive epoche preistoriche e protostoriche.
La diffusione delle Culture della Ceramica Impressa e dei Vasi a Bocca Quadrata nell'Italia Settentrionale e nella restante Europa continentale, dimostra attivi scambi commerciali e culturali con il Nord, il ritrovamento del “Token” di Pian del Ciliegio, prova rapporti culturali e commerciali, fin dal Neolitico Antico, con regioni Mediorientali, quali la Fenicia e la Mesopotamia.

Resti di castelliere sul Monte
Bignone, a Sanremo (IM).
Dal 4.000 p.e.v. (a.C.) - Nel territorio dell'odierna Liguria, il nuovo uso delle risorse porta ad un miglioramento delle condizioni di vita, ad un aumento della popolazione e ad una società più complessa, in cui prendono a manifestarsi delle specializzazioni nei vari settori produttivi, che consentono attività quali il riconoscimento e lo sfruttamento dei giacimenti di minerali.

A partire dal IV millennio a. C. si accrebbero le conoscenze riguardanti il trattamento dei minerali metalliferi. In seguito allo sviluppo della metallurgia, le società si organizzarono in assetti sempre più complessi, con vere e proprie strutture gerarchiche. Furono costruite fortificazioni di altura, note con il nome di Castellieri o Castellari.

Resti di fortificazione sul
Monte Vallasa (AL).
Resti di castelliere a Bric Camulà,
Arenzano (GE).
Muro di cinta di castelliere
a Verezzi (SV).











Valle Lagorara,
Maissana (SP). Il fronte
di estrazione con in
primo piano le
caratteristiche fratture
a superficie curva
prodotte da colpi
inferti con percussioni.
Valle Lagorara,
Maissana (SP),
l'affioramento
di diaspro.
Dal 3.600 p.e.v. (a.C.) - Nella Liguria orientale (a Monte Loreto, nell’entroterra di Sestri Levante) sono state ritrovate le tracce delle più antiche miniere di rame finora note in Europa occidentale (3.600-2.400 a.C.). Sempre all’età del Rame (2.600-2.300 a.C.) appartengono le cave di  diaspro rosso di valle Lagorara, presso Maissana, dalle quali si ottenevano schegge che, opportunamente lavorate, diventavano taglienti punte di freccia.

Dal 3.000 p.e.v. (a.C.) - La Valle delle Meraviglie (in francese Vallée des Merveilles) fa parte del massiccio del Mercantour; vi sono state scoperte più di 35.000 incisioni rupestri preistoriche, tra le quali numerose figure di armi (pugnali e alabarde) risalenti soprattutto all'età del Rame (III millennio a.C.) e in misura minore all'antica età del Bronzo (2.200-1.800 a.C.).
Incisioni rupestri fra le migliaia della
della Valle delle Meraviglie, parco
del Mercantour del monte Bego, ora
appartenente alla Francia.
 Sono presenti anche figure più antiche, in particolare reticolati e composizioni topografiche (nell'area di Fontanalba), databili al Neolitico (V e IV millennio a.C.). La Valle delle Meraviglie si trova nel comune di Tenda.
Mappa del parco del Mercantour,
con la Valle delle Meraviglie.
Fino al 1861 faceva parte della Contea di Nizza sabauda, poi dal 1861 al 1947 ha fatto parte dell'Italia ed era compresa nella provincia di Cuneo, col Trattato di Parigi del 1947 passò alla Francia. A partire dal 1967 è stata avviata un'indagine sistematica della zona da parte di un gruppo di universitari, museisti e scienziati finanziato dal Ministero della Cultura francese e dal Consiglio Regionale delle Alpi Marittime. Ad oggi sono state registrate oltre 35mila incisioni preistoriche (50mila comprendendo quelle storiche), la maggior parte delle quali si trova intorno al Monte Bego, da molti considerata una montagna sacra per gli antichi Liguri al pari del Monte Beigua, fra le province di Savona e Genova (non a caso altra zona ricca di incisioni rupestri). La ripartizione dei graffiti è di circa metà nella Valle delle Meraviglie, situata a ovest del Bego e metà a nord, nella Valle di Fontanalba. Vi sono anche altre zone più a nord con presenza di incisioni, ma di minore importanza. Si possono quindi identificare i seguenti settori in ordine decrescente di importanza:
Alcuni petroglifi della Valle delle Meraviglie.
- Valle delle Meraviglie
- Valle di Fontanalba (in francese
   Fontanalbe)
- settore di Valauretta (in francese
  Vallaurette)
- settore del Colle del Sabbione (in
   francese Col du Sabion) (tra
   Francia e Italia)
- settore del Lago di Santa Maria
- settore di Valmasca (Valmasque)
- settore del Lago Vej del Bouc, in Italia.
Il tutto è compreso in un'area di 40 km².

I 7 fiumi importanti per
la storia dei Liguri.
- Si suppone che la longevità della stirpe dei Liguri sia dovuta al ruolo decisivo che hanno avuto, dall'età del Bronzo in poi, nel reperimento di metalli preziosi (argento e oro), di minerali come la cassiterite, (da cui si ricava lo stagno che, legato al rame, dà il bronzo) oltre alla conoscenza delle tecnologie metallurgiche per la produzione di metalli (bronzo, argento) e il loro ruolo nella commercializzazione stessa, anche via mare, di bronzo, piombo, sale, oro, argento e dell'ambra, proveniente dalle coste baltiche, anche se non possediamo documenti scritti e informazioni specifiche sulla loro marineria e notizie inerenti alla forma della loro società. Per quanto gli antichi Liguri, nei tempi storici, abitassero gran parte dell'Europa sud-occidentale e mantenessero frequenti contatti di tipo mercantile con l'Europa atlantica, centrale e baltica (per il reperimento dell'ambra), non lasciarono mai documenti scritti per perpetuare la loro memoria, attenti com'erano a mantenere segreti i loro monopoli. Quello che ci hanno trasmesso possiamo estrapolarlo dalla loro arte megalitica e dai loro antichi petroglifi. Non sappiamo come chiamassero se stessi, anche se probabilmente ogni tribù aveva un proprio nome da quello di un loro condottiero o di un luogo o di una divinità. Certamente si mischiarono alle popolazioni iberiche prima, ai Greci di Focea e ai Celti poi, tanto che alcune tribù definite Celtiche erano in effetti Liguri, come i Taurini, i Friniati, ecc., così come gli Euganei, i proto-Leponti... Ma rimasero sicuramente Liguri puri fra il Rodano e l'Arno e a nord fino al Po.
Carta con la probabile estensione del
lago Ligustinus (ligure in latino) e i
centri di Tartesso e la successiva
Gades (Cadiz).
Nel "V Simposio Internazionale di Preistoria Peninsulare: Tartesso 25 anni dopo" tenuto a Jerez de la Frontera nel 1995, vennero illustrate le ipotesi contenute nei testi di O. Arteaga , H.D. Schulz e A.M. Roos sul tema: "Il problema del Lacus Licustinus. Ricerca geoarcheologica intorno alle paludi del Basso Guadalquivir".
Ecco uno stralcio della relazione: "Il Professor Schulten, considera ligure l'intera penisola spagnola prima dell'invasione della stirpe iberica (camita-berbera) dall'Africa, e pensa che la lingua basca sia una reliquia ligure. L'affermazione che la popolazioni primitive della penisola sia ligure, poggia su un brano di Esiodo del VII secolo a.C., chiamante ligues (ligure n.d.r.) tutta l'Europa occidentale. Eratostene la chiama Ligustica. Rufo Avieno, descrivendo l'attuale Andalusia, cita il lacus Ligustinus, e chiama la Galizia e il Portogallo "Oestrimnios", nome identico a quello ligure per Bretagna.
Carta con le vie di penetrazione in
Europa della civiltà dei megaliti
secondo l'Atlante Storico di Hermann
Kinder e Werner Hilgemann del 1964.
Tra le altre prove di insediamento ligure in Galizia, vi sono le somiglianze di nomi galiziani nella popolazione con riferimenti alla costa ligure della Francia meridionale e del nord-ovest dell'Italia; anche se i nomi di origine ligure compaiono in diverse parti della penisola iberica, in particolare sembrano essere concentrati in Galizia. Inoltre, in Portogallo, la penisola più occidentale (Cáceres) e il fiume Sado hanno nomi tipici delle persone che occupano la Liguria e in particolare le sue coste. Per il Professor Schulten, l'etnia ligure è stato il principale substrato della popolazione nativa e la popolazione dominante nella regione centrale della Andalusia prima della fondazione della città di Tartesso. Per noi, questo giustifica il nome del lago ligure che viene dato nel VI a.C. all'ambiente palustre che esiste nell'enclave stesso territoriale nella capitale e città portuale di Tartesso. Si noti anche l'esistenza di una città vicina chiamata Tartesso Ligustina.
Secondo noi c'era una intesa commerciale tra i popoli Liguri ancestrali, originariamente associata alla diffusione della cultura megalitica.
Cassiterite, minerale da
cui si estrae il piombo.
 I Liguri, sparsi nel Mediterraneo occidentale e sulle coste atlantiche, su entrambe le vie commerciali marittime dell'Europa occidentale, hanno permesso la circolazione delle merci, minerali e prodotti in metallo. Il nostro proposito è quello di evidenziare il fatto che la popolazione Ligure pre-tartessica veva raggiunto un ruolo di rilievo in questa intesa, grazie alla sua posizione strategica e alla straordinaria ricchezza di metalli nella sua area di influenza.
In particolare si è imposto il flusso di metalli pesanti dal nord Atlantico (principalmente stagno e piombo) verso il Mediterraneo occidentale. Quest'intesa commerciale tra i popoli Liguri ancestrali non era dichiarata, ma tenuta segreta per tutelare il monopolio Ligure sui loro prodotti e commerci: sale, oro, argento, bronzo, ambra..."
L'enclave di Tartesso, i suoi centri,
le colonie greche e in marrone quelle
cartaginesi, da: https://es.wikipedia.
La civiltà pre-tartessica sarebbe stata costituita dal substrato culturale di diversi popoli (liguri, iberici e coloni orientali arrivati da Creta  nel  3.000 a.C.), ma presumibilmente era ligure (come indica il toponimo Lago Ligur, il Lagus Ligustinus per i Romani) il substrato predominante nella zona prima della fondazione della capitale tirrenica Tartesso. Tutto questo avrebbe permesso ai Liguri di gestire i commerci in ambito mediterraneo e atlantico fino al 1.200 a.C., quando i di Tirseni, o Tirreni, da cui derivarono gli Etruschi occuparono la Tartesso Ligustica (nel delta acquitrinoso del Tartesso, il Guadalquivir, navigabile fin dopo l'attuale Cordova, in territori ricchi di metalli fino alla Sierra Morena) e i fenici, dopo aver edificato Gadir, l'attuale Cadiz, dopo 200 anni monopolizzarono il Mar Mediterraneo occidentale, difendendo con spaventosi racconti e dove non bastavano, con la violenza, la conoscenza geografica e l'ubicazione delle materie prime delle terre oltre le colonne d'Ercole.

Tipici terrazzamenti liguri.
Dal 2.300 p.e.v. (a.C.) - Con l’età del Bronzo (2.300-1.000 a.C.) cominciano ad essere costruiti i terrazzamenti, che  diventeranno il segno distintivo del paesaggio ligure.
Le Isole di Scilly, le probabili antiche
Isole Cassiteriti, a ovest della
Cornovaglia, in Inghilterra.
Sembra che fin dagli albori dell'Età del Bronzo il vincolo della nazione ligure sia stato il traffico di stagno, piombo, argento e oro fra Gran Bretagna, Bretagna, Galizia, Portogallo centrale e sud della Spagna. Questi beni come i minerali (cassiterite) o metallo puro (oro e argento) dovevano essere oggetto di produzione e commercio attivo, condotto prima da terra e da un villaggio all'altro sulla falsariga di quello che è successo, nelle narrazioni degli antichi Greci, con l'ambra baltica e le offerte di Iperborea al delfico Apollo.
Più tardi questo commercio avveniva via mare dal Guadalquivir inferiore, nella cui foce era il Lago Ligustico o Ligure, nel Territorio dove fu edificata la mitica Tartesso, dove sembra che la produzione, la lavorazione e il commercio avessero raggiunto uno standard di alto livello.

- A partire dal II millennio a.C. (neolitico) si hanno notizie della presenza dei Liguri su un territorio molto vasto, corrispondente alla maggior parte dell'Italia settentrionale e centrale.

Reperti in stile "ligure" della
Cultura di Polada.
- La cultura di Polada (2.200-1.600 a.C. circa) è il nome con cui ci si riferisce ad una cultura dell'età del bronzo antica, diffusa in tutta l'Italia settentrionale, che nelle sue espressioni artistiche, come le stele antropomorfe qui a fianco, rispecchia l'arte degli antichi Liguri. Vi sono alcuni punti in comune anche con la cultura del vaso campaniforme tra cui l'uso dell'arco e una certa maestria nella metallurgia . In un sito di questa cultura presso Solferino è stato rinvenuto il più antico esempio di cavallo addomesticato in Italia. Il nome deriva dalla località di Polada, nel territorio del comune di Lonato del Garda, dove negli anni tra il 1870 e il 1875 si ebbero i primi ritrovamenti attribuiti a questa cultura in seguito a lavori di bonifica in una torbiera. Altre stazioni importanti si ritrovano nell'area tra Mantova e il Lago di Garda e il lago di Pusiano. Gli insediamenti in zona di laghetti e paludi intermorenici sono a palafitte appoggiate su "bonifiche" di tronchi orizzontali, disposti in piattaforma stratificata o cassonata. Se la ceramica è di impasto ancora grossolano, le altre attività umane crescono e si sviluppano: industria litica, in osso e corno, legno, metalli. Gli strumenti e le armi in bronzo mostrano somiglianze con quelli della cultura di Unetice e di altri gruppi a nord delle Alpi.

Antica rappresentazione di Eingana,
mito della popolazione degli
Euganei, da cui presero il nome,
mito conservato nelle leggende e
nelle favole delle anguane/angane/
aivane, ecc. Gli antichi Euganei,
fonema che in retico è Anauni e in
ligure Ingauni, abitavano in
palafitte lungo laghi e fiumi e le
Anguane erano la loro mitica
rappresentazione.  
- Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove rimasero fino alla prima età imperiale romana. Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi. Si dedicavano alla raccolta e alla caccia ed erano nomadi. Scoprirono poi l'agricoltura e l'allevamento diventando sedentari e costruendo villaggi di capanne e palafitte, radunandosi in tribù. Già nei tempi antichi conoscevano l'uso dei metalli. Testimonianze apprezzabili risalgono al neolitico indicando una società piuttosto primitiva: tracce di abitazioni, ma soprattutto manufatti di osso, selce e vasi di terracotta ad uso religioso.
Gli insediamenti principali sono stati ritrovati sulle colline vicine a Padova; scendevano in pianura per celebrare riti religiosi, in particolare in prossimità delle sorgenti termali dove adoravano varie divinità, fra cui forse il dio Apono, più tardi entrato a far parte dei culti delle popolazioni Venetiche. Ad essi si deve il termine "Venezia Euganea" usato in passato per definire la regione Veneto. 

- L'archeologia rileva che nel periodo dal X al VIII secolo a.C., il territorio a sud del Tevere era caratterizzato dalla cosiddetta facies laziale o cultura laziale, dopo la precedente cultura proto-villanoviana (collegabile con la civiltà di origine indoeuropea dei campi di urne dell'Europa centrale), che interessò l'area tirrenica della Toscana e del Lazio fra il XII e il X secolo a.C., sovrapponendosi alla cultura appenninica  (probabilmente di aspetto ligure N.d.R.) che dominava la regione nei secoli precedenti. Alla cultura laziale viene associata la formazione dell'ethnos (gruppo umano) latino, che sul finire del secondo millennio a.C. si era già già costituito in una serie di comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) che avevano come centro principale Alba «Longa».
Carta del Latio Vetus con
Albalonga e Lavinio (Lavinium).
 Albalonga (nei pressi del Monte Albano e del lago Albano), secondo il mito, fu fondata dal figlio di Enea, Ascanio (o Julo) e vi fu eretto un santuario federale dedicato a Giove Laziale (Strabone, "Geografia" V, 3, 2). La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta dal greco Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. circa - 7 a.C.) che ne scrisse 700 anni più tardi: « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca (λευκή, lefkì) significa "bianco" ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά, Lefkì makrà ("bianco lungo" in italiano) » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66). Questo resoconto sull'origine del toponimo costituente il nome Alba lascia piuttosto perplessi. Intanto Dionigi doveva sapere bene che in greco il suffisso "alb" significa "camice" e che quindi non accenna a nessun "bianco" ed inoltre non si capisce quale fosse l'altra "Alba" e dove sorgesse; Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova Alba dovesse essere distinta come "Longa".
L'antica Alba Fucens.
Alba Fucens, segnalata nella carta qui a fianco è in Abruzzo ed è stata rifondata da Roma come colonia di diritto latino nel 304/303 a.C.. Per quanto molti studiosi pensassero che il toponimo "Alba", assai diffuso nel mondo latino, derivasse da una comune radice indoeuropea che significa "altura", ma anche "bianco" e secondo Olstenio (Luca Olstenio, in lingua tedesca Lukas Holste, latinizzato in Lucas Holstenius; 1592 - 1662, umanista, geografo e storico tedesco di religione cattolica) il nome intenderebbe "dal campo all'intorno, sparso e pieno di sassi bianchi", oggi invece, sulla base anche delle antiche fonti storiche, si è convinti che il nome abbia una diversa origine,  né latina né indoeuropea. Tito Livio (59 a.C. - 17), infatti, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (Livio, I, 3), che grosso modo significa: « Questo Ascanio, di dove o di quale madre - certamente figlio di Enea - della città di Lavinium, in cui fioriva una numerosa popolazione, che era stata per lui una madre, divenne matrigna e lui lasciò una città prospera e ricca per fondare una nuova città che si estendeva al di sotto del monte Albano, chiamata Alba Longa ». Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, e vuol dire che già il toponimo "Alb" apparteneva al nome di questo monte, così come probabilmente anche il lago a valle del monte si chiamava già Albano. Ricordo che i Liguri usavano abbondantemente il suffisso "Alb" come toponimo per insediamenti, fiumi, monti (come Alpi) e specifiche aree geografiche. Per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI.

2) Il secondo periodo con datazioni è il seguente: « Il Castello di Matucio, per essere ivi abitato Lucio Mauticio proconsole romano, primieramente vi venne Caio Mario flamine di Matuta in Roma detto Gneio Mario flamine Matutio e per esservi finalmente stato Caio Mario Maturo, proveditore delle armate romane nella Francia come di essi tutti dirassi in appresso e da questi nomi tutti Teodolfo, vescovo di Genua, l'anno 937 in una lettera che scrisse ad Ottone il Grande disse delle nostre spiaggie: "In Matutianensibus finibus" ecc. Che li soddetti personaggi volessero eternare i loro nomi con darlo a questi popoli chiaramente si vede mentre li primi eran detti Liguri, ma con qualche particolarità che sarebbe fuor del nostro intento ridirli. Li nostri furon detti liguri Focensi contro de quali da Romani fu mossa guerra l'anno 550 di Roma come segna. Questi Focensi, per schivare il furor di Ciro che manometteva l'Egitto lasciarono il proprio paese, passarono ad altre provincie come nella Corsica della quale si resero padroni: così l'accerta Luca da Cinda nelle sue relazioni dal tìtolo Costumi della Corsica, pag. 495; fondarono Marsiglia in Provenza l'anno del mondo 3.427, Olimpiade 60, come segna il Lualdi al lib. 2 cap. 7 e pag. 7 dell'Origine della cristiana religione in occidente et in altri province, come in Calabria come all'istesso. [Michelangelo Lualdi (Roma all'inizio del XVII sec. - Roma 1673) secondo il Mandosio fu "uomo di grande erudizione nella teologia e nella storia, fu tenuto in molta stima dagli eruditi dei suoi tempi. La chiesa di S. Marco lo ebbe nel novero dei suoi canonici, e Roma in quello dei suoi letterati. I suoi anni impiegò nello studio, e delle sue molte opere scritte, pochissime videro la luce, essendo rimaste quasi tutte inedite, perché sorpreso dalla morte" (Amati, p. 152). Pubblicò alcune opere a Roma tra il 1650 e il 1673. N.d.R.]. »

L'anno di fondazione è quindi il 540 a.C., accettando il 776 a.C. come data della prima olimpiade e il 3965 a.C. come anno 0 del mondo. Confrontiamo quindi questo dato con altre fonti:

Cartina del Mediterraneo nell'VIII sec. a.C. con le pòleis (città)
della Grecia, delle sue colonie e città fondate sucessivamente.
Si notano Focea e le città a lei collegate: Lampsaco più a nord,
Amiso sul Mar Nero, Naucrati in Egitto, Massalia (Marsiglia),
Alalia, Cuma, Elea, Rhegion (Reggio Calabria).
Le origini di Massalia sono oscure. I primi abitanti storici del luogo erano popolazioni liguri. Sembra che i Fenici frequentassero la zona e che intrattenessero scambi commerciali con le genti locali, ma non ne esistono prove. Notizie attendibili si hanno solo con l'arrivo dei Greci di Focea quando, approssimativamente nel 600 a.C., fondarono un insediamento che chiamarono come la loro città d'origine: Focea (greco: Phokaia). I Greci si integrarono rapidamente con le popolazioni locali come lascia supporre la leggenda tramandata da Giustino (Marco Giuniano Giustino, storico romano dell'epoca degli Antonini, che avrebbe avuto 40 anni tra il II ed il III secolo):
Figura maschile
di Ligure
della fine del
VI sec.a.C.,
con copricapo
a forma
di testa di cigno
Parigi, Museo
del Louvre.
« I comandanti della flotta erano Simos e Protis. Così incontrarono per chiederne l'amicizia il re dei Segobrigi (tribù Ligure, N.d.R.), di nome Nanno, nel territorio del quale desideravano fondare la città. Per caso quel giorno il re era occupato nei preparativi delle nozze della figlia Gyptis, che, secondo le usanze locali, egli si preparava a dare in matrimonio al genero scelto durante il banchetto. Così, essendo stati invitati alle nozze tutti i pretendenti, anche i Greci furono richiesti come ospiti al convivio. Introdotta quindi la vergine, avendo ricevuto l'ordine dal padre di offrire dell'acqua a quello che aveva scelto come marito, allora trascurati tutti si volse ai Greci e offrì l'acqua a Protis che, da ospite divenuto genero, ricevette dal suocero un luogo su cui fondare la città. » (Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi Libri XLIV, 43, 3, 8-11). Secondo Ateneo di Naucrati (Naucrati, ... - dopo il 192), che cita la "Costituzione di Marsiglia" di Aristotele, fu Eusseno di Focea a sposare Petta, la figlia di Nanno, alla quale cambiò il nome in Aristossena. Loro figlio fu Protis, capostipite della famiglia dei Protiadi. Dopo le nozze la coppia si stabilì sulla collina a nord di Lacydon che divenne poi il nucleo originario della futura città. La particolareggiata leggenda sull'origine di Massalia (Marsiglia), riportata da Marco Giuniano Giustino, ci fa intendere che Massalia non può essere considerata una colonia esclusivamente greca, ma più probabilmente era luogo di un'intesa greco-ligure, come accesso al Mediterraneo dei commerci continentali centro-europei e viceversa (sale, metalli, ambra, vino, manufatti ecc.).

Abbiamo quindi una differenza di 60 anni, tutto sommato una differenza contenuta rispetto alle fantasiose ipotesi del punto 1).

3) Il terzo periodo con datazioni: « Il Castello di Matucio, per essere ivi abitato Lucio Mauticio proconsole romano, primieramente vi venne Caio Mario flamine di Matuta in Roma detto Gneio Mario flamine Matutio e per esservi finalmente stato Caio Mario Maturo, proveditore delle armate romane nella Francia come di essi tutti dirassi in appresso e da questi nomi tutti Teodolfo, vescovo di Genua, l'anno 937 in una lettera che scrisse ad Ottone il Grande disse delle nostre spiaggie: "In Matutianensibus finibus" ecc. Che li soddetti personaggi volessero eternare i loro nomi con darlo a questi popoli chiaramente si vede mentre li primi eran detti Liguri, ma con qualche particolarità che sarebbe fuor del nostro intento ridirli. Li nostri furon detti liguri Focensi contro de quali da Romani fu mossa guerra l'anno 550 di Roma come segna. ». E prosegue: « Per sincerare tutto ciò, deve sapersi che la riviera di ponente a tempo de Romani e Cartaginesi era amica a quelli che più le piaceva: i Liguri Genoati, con tutti quelli che abitavano sino ad Albenga, erano aderenti a Romani; gl'Ingauni, Focesi et Intemeli de Cartaginesi, e Magone al parere di quasi tutti li scrittori, distrusse Genova per esser amica de Romani per decreto de quali fu poi riedificata. Contro gli Inganni et soddetti presero le armi i Romani et Appio Claudio al detto di Stef. Vivand., Annot. Mag. Rom., investì li Focesi l'anno di Roma 550. Quante percosse dessero e ricevessero i Romani in queste parti lo certifica Livio in più luoghi e tempi, il Sigonio, Plutarco in Vita Pauli Emili, lo Stadio, Sopra Fioro, lib. 2, cap. 3. Sotto la condotta poi di Marco Flaminio e di Marco Emilio non piegarono il capo, se non dopo sette anni di continuata guerra nel qual tempo non passò né meno una settimana sola che non seguisse qualche conflitto. Onde Flaminio, allor che in senato dava conto dell'operato, disse non esser stati vinti i Liguri dalla forza, ma dalla sola mala fortuna: così Paulo Manutio, Com. *gart. triumph. Romanorum, ove si vede quello che operasse il senato verso de loro dei per tal vittoria. Distrutta Cartagine non si distrasse però mai l'ardire de nostri Liguri e quanto operassero per la loro libertà con armate di mare et intera vedi li citati auttori; che questi Liguri fussero li nostri Focensi ** si vede chiaramente da Livio, lib. 4 ove: "Massilienses de Ligurum navibus quaerebantur". Il Sigonio ne Fasti ab urbe condita 599 così segna: "i Liguri infestavano Antiboli e Nizza terra de Marsigliesi" [Carlo Sigonio (Modena, 1520 circa - presso Modena, 28 agosto 1584) è stato uno storico italiano di espressione latina, tra i primi studiosi a dedicarsi alla storia medievale, considerato «il vero scopritore del Medioevo, quello che lo aperse agli studi e ne accennò la strada.» ne scrisse Ferruccio de Carli. N.d.R.], come lo segna Strabone nel lib. 4: "Massilienses condiderunt Niceam adversus Ligures Alpes incolentes", sì che, essendo gl'altri Liguri amici de Romani li nostri soli erano contrari a quelli et alii suoi confederati, e sempre gl'infestavano sin che si rinovasse quel decreto che registrò Livio, dece. 3 lib.: "placuisse senatui eos a Marco Popilio restituì in libertatem". E questo solo basta per provare la primiera libertà alla quale furon restituiti, ma di più vollero i Romani averli per suoi amici, suoi concitadini e dichiararli municipi. In prova di che vedasi il citato Ganducio qual cita molti auttori quali segnano i municipi della riviera di ponente, e quantonque non segni preciso il nome delle città, le fa cognoscere dalle qualità de medemi municipi. [...]"... »

L'anno 550 di Roma coincide con il 204 a.C. mentre il 599° anno di Roma, in cui sono segnalati atti pirateschi nella Costa Azzurra, è il 155 a.C.. Passiamo dunque a verificare la datazione della conquista romana del Ponente ligure, appannaggio dei Liguri Intemelii, che secondo il Manoscritto avvenne nell'anno 550 di Roma, pari al  204 a.C. secondo i nostri calcoli e ricerchiamo se poco prima di tale periodo siano stati segnalati atti di pirateria da parte di popolazioni liguri lungo le coste galliche.

La Liguria con le varie etnie di Liguri che l'abitavano
in età romana.

Nel III secolo a.C. i Romani, avendo avuto ragione degli Etruschi e integrato i loro territori, si trovarono a diretto contatto con i Liguri. L'espansionismo romano puntava verso i ricchi territori della Gallia e della penisola iberica (allora sotto il controllo cartaginese) e il territorio ligure era il percorso per accedervi (i Liguri controllavano le coste liguri e le Alpi meridionali). All'inizio i Romani ebbero un atteggiamento piuttosto accondiscendente poiché il territorio dei Liguri era considerato povero, mentre la fama dei suoi guerrieri era nota (li avevano già incontrati in qualità di mercenari), inoltre erano già impegnati nella prima guerra punica e non erano intenzionati ad aprire nuovi fronti; pertanto cercarono innanzitutto di farseli alleati. Nonostante i loro sforzi, solo poche tribù liguri fecero con i Romani accordi di alleanza (famosa l'alleanza con i Genuati), mentre gli altri si dimostrarono ostili. Le ostilità furono aperte nel 238 a.C. da una coalizione di Liguri e di Galli Boi, ma i due popoli si trovarono ben presto in disaccordo e la campagna militare si arrestò con lo sciogliersi dell'alleanza. In seguito una flotta romana comandata da Quinto Fabio Massimo sbaragliò navi liguri (probabilmente pirati) lungo la costa ligure (234-233 a.C.), permettendo ai Romani il controllo della rotta costiera da e per la Gallia. Con lo scoppio della seconda guerra punica (218 a.C.) le tribù Liguri avevano avuto atteggiamenti contrastanti: una parte (le tribù del ponente, quelle apuane e appenniniche) si erano  alleate  con i cartaginesi, fornendo soldati alle truppe di Annibale quando giunse in nord-Italia (sperando così che il generale cartaginese li liberasse dal vicino romano) mentre un'altra parte (i genuati, le tribù del levante e i Taurini) si erano schierate in appoggio ai Romani. Da http://nuovotuttosapere.altervista.org/la-conquista-romana-dellattuale-liguria/?doing_wp_cron=1585053063.0515789985656738281250 preso da Cultura-Barocca  http://www.cultura-barocca.com/ ma modificato: “Benché Annibale nel 218 a.C., durante la II guerra punica, fosse entrato in Italia per altri valichi, ai Romani non sfuggiva l’importanza della via costiera della Liguria. Gli Ingauni possedevano un territorio molto vasto, che dal mare raggiungeva le valli della Bormida e del Tanaro e penetrava in area pedemontana, mentre il territorio intemelio rappresentava un passaggio obbligato per qualsiasi esercito che dovesse dovuto raggiungere la Gallia Narbonese, che diventerà Provincia (da cui Provenza) nel 121 a.C., senza valicare le Alpi.
Mediterraneo occidentale nel 226 a.C.
dopo la prima guerra illirica (230-229
a.C.), l'avanzata cartaginese fino
all'Ebro e l'alleanza romana con
Cenomani e Veneti in Pianura
Padana. Di Cristiano64, questo file
deriva da: West Mediterranean sea
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Oltre a tutto ciò i Liguri, con la loro attitudine alla pirateria, potevano sempre disturbare i traffici, sia militari che mercantili, di chi attraversasse vie, sia terrestri che marittime, soggette al loro controllo: per questo Roma affidò a due duumviri navales il compito, non semplice, di domare queste scorrerie piratesche. Scontri militari fra Romani e popolazioni liguri si erano verificate anche prima del conflitto annibalico, ma in quell'occasione, per un’antica alleanza coi Cartaginesi, scesero in campo contro la maggiore potenza italica, molte genti costiere del territorio compreso tra Vada Sabatia [Vado Ligure (IM)], centro dei Liguri Sabazi ed Albintimilium [Ventimiglia (IM)], centro dei Liguri Intemelii, ad infoltire le truppe di Magone, fratello di Annibale, tra il 205 ed il 203 a.C.. Inoltre agli Ingauni, in cambio della promessa di fornirgli truppe ausiliarie, Magone fece il non trascurabile favore di infliggere pesanti sconfitte a Montani ed Epanterii, i rozzi liguri dell’interno, che saccheggiavano spesso il territorio ingauno. La sconfitta di Magone da parte del Pretore Publio Quintilio Varo nel 203 a.C. costrinse i Liguri, ed in particolare gli Ingauni, a stipulare una serie di trattati coi Romani per il timore di rappresaglie, viste le precedenti alleanze con i Cartaginesi. Lo storico Romano Tito Livio (Patavium, 59 a.C. - Patavium, 17) menziona un trattato di non belligeranza che appare esteso alla sola Albingaunum, ma ciononostante è da credere, visto il peso politico degli Ingauni, che quel trattato di non belligeranza si ritenesse esteso a tutte le genti del ponente ligure.
Il Mediterraneo al tempo della pace
siglata al termine della seconda guerra
punica (201 a.C.). Roma ottenne il
controllo dell'intera penisola italica,
di Sardegna, Corsica, Sicilia e delle
coste mediterranee della penisola
Iberica, estendendo la sua influenza
fino all'area dell'Egeo. Di Cristiano64
File che deriva da: West Mediterranean
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I Liguri rimasero però sempre gelosi della loro autonomia e quindi, dal 201 a.C. vissero in uno stato di costante belligeranza e guerriglia contro Roma, che cercò di porvi rimedio con uno sforzo militare decisivo, specie dopo il poco onorevole episodio del pretore Lucio Bebio Divite, che venne sconfitto dagli eserciti congiunti dei Liguri non lontano da Massalia, città in cui si rifugiò con le truppe superstiti e dove morì per le ferite subite, come scrissero Livio (XXXVII, 5) ed Orosio (IV, 20, 24). L’incentivazione romana delle operazioni belliche in Liguria si può datare dal 188 a.C. con le imprese del console M. Valerio Massimo (Livio, XXXVIII, 35, 7 e 42, 1). I risultati non furono definitivi né pari alle aspettative di Roma, così il Senato affidò ad entrambi i consoli del 187 a.C. (Marco Emilio Lepido e Gaio Flaminio) la provincia della Liguria col compito di pacificarla definitivamente (Livio, XXXVIII, 42, 8). Nonostante l’abilità dei Liguri a combattere nel loro aspro territorio, servendosi della velocità e di armi leggere che permettevano rapide fughe ed improvvisi attacchi, le legioni romane ottennero questa volta dei risultati importanti (Livio, XXXIX, 1, 1). La pressione militare di Roma aumentò ancora dal 185 a.C. ed i popoli liguri subirono una serie di pesanti sconfitte. Mentre il console Marco Sempronio Tuditano sottometteva il levante ligure, il suo collega Appio Claudio Pulcro lo eguagliava “con alcune fortunate battaglie nel territorio dei Liguri Ingauni”, come ancora scrisse Livio (XXXIX, 38, 1). Nonostante questi successi la Liguria non fu del tutto piegata e per garantire un più rigido controllo ed una maggior possibilità di celere intervento militare, fu a lungo assegnata come provincia consolare (al tempo della Repubblica di Roma, per provincia consolare si intendeva quella che veniva assegnata ad un console perché vi capitanasse una guerra o dovesse compiervi operazioni militari, N.d.R.). Nel 184, peraltro, gli Ingauni ed i loro alleati, essendo consoli Publio Claudio Pulcro e Lucio Porcio Licino, presero a riorganizzarsi, con una serie di successi militari culminati, nel 181 a.C., in una potente “lega militare” che respinse e poi assediò il proconsole Lucio Emilio Paolo che s’era mosso contro di loro a capo di una discreta forza di guerra. Lucio Emilio Paolo, che era però un buon comandante ed un soldato valoroso, seppe rompere l’assedio posto al suo accampamento ed alla fine inflisse una dura sconfitta alla coalizione di Liguri, il cui grosso dell'esercito era composto da Ingauni. Dopo la sconfitta definitiva degli Ingauni (nel 181 a.C.) da parte di Lucio Emilio Paolo, il console Aulo Postumio Albino, dal territorio degli Apuani si spinse via di mare ad ispezionare quello intemelio, spedizione che fa presumere che, pacificati gli Ingauni, anche gli Intemelii avessero accettata la supremazia romana. La guerra coi Liguri era stata abbastanza dura ed il Senato, di fronte ad imminenti conflitti in Oriente, preferì mitigare le richieste nei confronti dei popoli vinti, anche per evitare possibili insurrezioni. Il dominio sugli Intemelii, al pari di quello delle altre genti liguri, prese la forma di foedus onorevole e la sua capitale Albintemilia acquisì la denominazione di “città federata” (cioè legata da vincoli di alleanza) nei confronti di Roma. Non è semplice oggigiorno ricostruire le forme tra i possibili “accordi” stipulati coi Romani dai Liguri vinti ma è certo che non si ebbero più insurrezioni e che i Liguri assolsero ai propri doveri con rigore (queste genti - come ricorda Sallustio nel De Bello Iugurt. 77, 4 e 93-94 - vennero inquadrate in coorti ausiliarie e se una di queste, assieme a 2 “turme” di Traci e pochi altri soldati, si macchiò del tradimento del legato romano Aulo Postumio Albino, causandone la sconfitta a Suthul in Numidia, è altrettanto vero che proprio un soldato ligure, col suo coraggio, permise a Gaio Mario di occupare una città dei Numidi). Poco per volta, per quanto abbastanza impermeabili in un primo tempo all’acculturazione romana, i Liguri si inserirono nel contesto statale di Roma (pur fondendosi con le genti celticheN.d.R.).”
Carta dell'anno 6 con la IX regio romana, la Liguria e dintorni, con i
nomi delle varie popolazioni Liguri ormai romanizzate.

Le datazioni al punto 3), contenute nel "manoscritto di Anonimo", si possono quindi considerare corrette.

LE FONTI STORICHE SUI LIGURI
Cosa si sa della gente Ligure? In primo luogo, vi è una conoscenza ampia su coloro che potremmo chiamare “Liguri storici”, contemporanei del popolo romano che si erano stabiliti nella zona del sud della Francia e nell'Italia nord-occidentale (Liguria), il cui linguaggio è stato decodificato, ma di cui non possediamo tracce scritte anche se le loro abitudini erano ben note e sono state tramandate da autori latini. In secondo luogo ci sarebbero i “protostorici Liguri” (compresi quelli rimasti nei territori di Tartesso) che per analogia possono esprimere tratti culturali simili a quelli sopra e che sono stati riscontrati in gran parte delle coste dell'Europa occidentale, in accordo alle testimonianze dirette degli storici antichi. In ogni caso sembra chiaro che tutte queste genti Liguri abbiano mantenuto relazioni commerciali e mantenuto un'unità culturale grazie anche all'appartenenza delle loro lingue ad una radice comune.
Carta geografica dei sette fiumi importanti per la storia dei Liguri e dei confini
delle loro aree di influenza: Guadalquivir (Tartesso o Betis) , Jùcar (Sicano),
Ebro, Rodano, Var (Varo), Magra e Arno. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

La civiltà pre-tartessica sarebbe stata costituita dal substrato culturale di diversi popoli (liguri, iberici e coloni orientali arrivati da Creta  nel  3.000 a.C.), ma presumibilmente era ligure (come indica il toponimo Lago Ligur, il Lagus Ligustinus per i Romani) il substrato predominante nella zona prima della fondazione della capitale tirrenica Tartesso.
Dal bacino del fiume Guadalquivir pare che siano migrati gruppi di Liguri, prima stanziati nell'enclave di Tartesso, pressati da sud e da ovest, per gettarsi sui Sicani, situati sul fiume Sicano (lo Jùcar dei contemporanei), vedi la cartina sopra. L'espulsione dei Sicani è attestata in termini chiarissimi da Tucidide (460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C., N.d.R.) e da altri scrittori, che affermano decisamente la presenza dei Liguri, se non nell'interno, certamente sulle coste orientali della Spagna meridionale in età antichissima, presenza che alcuni fanno risalire addirittura al XX secolo a. C., ma non certamente più tardi del XVI secolo a.C.. Luigi Schiaparelli (storico, paleografo e diplomatista italiano; Cerrione, 2 agosto 1871 - Firenze, 26 gennaio 1934) nel suo “Le stirpi ibero-liguri nell'Occidente e nell'Italia antica” (Torino, 1880) http://www.cairomontenotte.com/biblioteca/schiaparelli/
schiaparelli.html scrive, da: http://www.cairomontenotte.com/biblioteca/schiaparelli/schia204.html: "Sciano da Chio (Scimno di Chio, citato anche come Sciano di Chio; fl.= floruit, cioè aveva 40 anni, nel 185 a.C. circa - ..., N.d.R.), ritenuto autore di una descrizione della Terra, e prima di lui Timeo (Timeo di Tauromenio; Tauromenium o Taormina, 350 a.C. circa - Siracusa, 260 a.C. circa, N.d.R.), scrisse che la colonia greca di Emporiae (ora Ampurias, nel comune di L'Escala, in Costa Brava, poco a sud dell'attuale confine fra Spagna e Francia, N.d.R.) era stata fondata nel paese dei Liguri da coloni massilioti (di Marsiglia, N.d.R.), il che lascia credere che, nei tempi immediatamente successivi alla vittoria sui Sicani, i Liguri siano avanzati dal fiume Sicano verso Nord lungo la costa e che successivamente lasciarono una parte dell'Hiberia agli Iberi o Iberoligi, coi quali coesistevano da lungo tempo. Lagneau (Gustave Lagneau, medico ed antropologo; Parigi, 18 agosto 1827 - Parigi, 25 agosto 1896, N.d.R.), autore di una memoria speciale sui Liguri, propende a trovarne non solo nell'interno della Gallia sulla Loira o Ligeris, da cui crede abbiano derivato il nome, ma su tutta la costa atlantica, da Bayonne al mare del Nord e perfino nelle isole Sorlinghe (le isole Scilly, N.d.R.), e non mancano certamente nella Gallia antica nomi di luoghi analoghi ad altri della Liguria e della Spagna. Vi sono poi analogie innegabili in alcune caratteristiche fisiche e morali dei Siluri di Tacito (dal latino Silures, antica popolazione della Britannia meridionale, secondo Tacito lì emigrata dall’Hiberia, N.d.R.), dei Gallesi e Gaeli di Scozia e d'Irlanda, dei Loegrini [gli abitanti di Logres (anche Logris o Loegria), il nome del regno di re Artù nella Materia di Britannia (con materia di Bretagna, la cui definizione corrente e maggiormente diffusa è quella di ciclo bretone, o ciclo arturiano, in virtù del suo eponimo, s'indica l'insieme delle leggende sui celti e la storia mitologica delle isole britanniche e della Bretagna, in particolar modo quelle riguardanti re Artù e i suoi cavalieri della Tavola Rotonda). Deriva da Lloegyr, il nome gallese per la Gran Bretagna che corrispondeva grosso modo all'odierna Inghilterra. In un senso stretto, la parola Inghilterra non potrebbe essere usata per riferirsi agli eventi arturiani dato che questa deriva da "Angle-land", parola emersa dopo le invasioni anglosassoni. Secondo Goffredo di Monmouth, il regno prese il nome dal leggendario re Locrino, il più vecchio dei figli di Bruto di Troia. Nella sua "Historia Regum Britanniae", Goffredo di Monmouth utilizza la parola "Loegria" per descrivere una provincia che conteneva gran parte dell'Inghilterra, ad eccezione della Cornovaglia. Nelle leggende arturiane, "logres" era un codice cavalleresco di Camelot, N.d.R.e dei Basso-Bretoni nell'antica Armorica, con la descrizione degli antichi Liguri. Gli antichi accennano all'origine iberica dei Siluri ed alla possibile estensione delle genti iberiche fino alla Bretagna, il che troverebbe qualche argomento generico in appoggio nella somiglianza dei caratteri esteriori fisici di qualche frazione della popolazione di alcune regioni di quel paese. Alcuni archeologi e storici come Mullenhof (Karl Victor Müllenhoff, storico germanista; Marne 1818 - Berlino 1884, N.d.R.), Camilo Jullian e D'Arbois (Henri d'Arbois de Jubainville, docente e celtista francese; Nancy, 1827 - Parigi, 1910, N.d.R.) designano curioso come nelle aree occupate dai predecessori Liguri e poi occupate dai Celti, come Britannia, Gallia e Spagna, i tratti celtici si siano dimostrati più persistenti.".

Antica imbarcazione Greca.
- I primi scrittori che fecero menzione dei Liguri furono i Greci, i quali ne ebbero vaghe notizie dai Fenici (o Cananei), che fino al secolo VIII a. C. navigavano, quasi esclusivamente per ragioni di commercio, nel bacino occidentale del Mediterraneo, mentre nel Tirreno prevalevano gli Etruschi, fatta eccezione per Cuma, la sola colonia greca in quel tratto di mare che portasse un nome ellenico fin dal secolo XI. Tucidide (460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C., N.d.R.) e altri scrittori affermano in modo deciso la presenza dei Liguri, se non nell'interno, certamente sulle coste orientali della Spagna meridionale in età antichissima, presenza che alcuni fanno risalire addirittura al XX secolo a.C., ma non certamente più tardi del XVI secolo a.C.. Tucidide riferisce inoltre come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano (l'attuale Xùcar, Jùcar in castigliano, a sud di Valencia, vedi la mappa dei 7 fiumi importanti per la storia dei Liguri antichi qui sopra, N.d.R.) nella penisola iberica, prima della guerra di Troia (che iniziò presumibilmente nel 1190 a.C.. Il loro arrivo in Italia dopo essere stati scacciati dall'Iberia, si dovrebbero collocare fra i secoli XX e XV prima dell'era volgare (a.C.), benché si ignorino completamente i principali particolari cronologici e storici del loro esodo dalle sponde dello Jùcar all'isola di Sicilia, N.d.R.).

- Eschilo (di Eleusi; Eleusi, 525 a.C. - Gela, 456 a.C., N.d.R.), nel suo "Prometeo", colloca i Liguri nell'attuale Provenza-ponente ligure nel secolo XIV a.C., e loda come intrepido il loro esercito, che Ercole riuscì a superare soltanto con l'aiuto degli dei. Del fatto che i Liguri fossero stanziati in varie parti dell'Italia centrale e specialmente nel Lazio, abbondano argomenti sicuri e sappiamo che ne furono espulsi con le armi dagli Italo-Greci (Aborigeni e Pelasgi) verso il secolo XIV a.C.

Nel XIV e XIII a.C. - Una frazione di Liguri si era stabilita nel Lazio, proprio nell'area dove verrà poi fondata Roma. Presumibilmente queste popolazioni avevano avuto il controllo della Toscana, dell'Umbria (loro erano Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio) e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri, guidati dal loro capo Sikelòs, figlio di Italo, erano denominati Siculi, e potrebbe trattarsi dei Šekeleš, uno dei popoli del Mare.
Nave Shardana, uno dei
Popoli del Mare.
"Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. circa - 7 a.C., N.d.R.), nella sua storia delle antichità romane, parla dei Siculi come della prima popolazione che abitò la zona di Albalonga, dove poi sorse Roma. Il loro nuovo confine territoriale meridionale, diventò così il fiume Salso (fiume della Sicilia orientale che scorre interamente nel territorio della Provincia di Enna), dove rimase fino all'arrivo dei Greci in Sicilia (vedi https://culturaprogress.blogspot.com/2015/06/le-citta-fondate-dai-greci-antichi-in.html). Siculo (o Sikelòs o Siculos, N.d.R.), è il presunto Re siculo che avrebbe dato il nome al popolo Siculo e alla Sicilia (Sikelia). Nella tradizione storiografica del popolo siciliano, si narra di un re Siculo che dalla penisola italiana passò in Sicilia, anche se non è chiara la sua stirpe e quale fosse la popolazione che guidava: c'è chi accenna agli Ausoni e chi ai Liguri. Antioco Senofaneo (Antioco di Siracusa o Senofaneo; 460 a.C. - …, N.d.R.) scrive di un Siculo che sembra comparire dal nulla per dividere i Siculi dai Morgeti e dagli Itali-Enotri. Dei Siculi si fa menzione a proposito dell'arrivo dei Pelasgi in Italia, al cui proposito tramanda Dionigi di Alicarnasso (Dionisio o Dionigi d'Alicarnasso; 60 a.C. circa - 7 a.C., N.d.R.): "Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo". I Pelasgi, accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone (Marco Terenzio Varrone; Rieti, 116 a.C. - Roma, 27 a.C., N.d.R.) aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare. “Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.”. Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che in proseguo di tempo furono occupate dagli Etruschi autoctoni che coabitavano la regione. In Dionigi di Alicarnasso leggiamo che i primi aggressori dei Siculi (o Liguri-Siculi), quando essi ancora si trovavano in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigini (forse gli Umbri, N.d.R.) che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio (Mitilene, 490 a.C. circa - Atene, 405 a.C. circa, N.d.R.) in Dionigi, stanchi delle aggressioni o non potendo reggere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero emigrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia.
Il fiume Liri, che nasce in Abruzzo e
dopo avere attraversato il Lazio,
confluendo col fiume Rapido dà
origine al fiume Garigliano, fra Lazio
e Campania.
Secondo Dionigi di Alicarnasso la città di Roma avrebbe avuto come primi abitanti indigeni dei barbari siculi successivamente espulsi dagli Aborigeni con l'aiuto dei Pelasgi. I Siculi, respinti, si sarebbero rifugiati in Sicilia e gli Aborigeni si sarebbero estesi sino al fiume Liris assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe domati al tempo della guerra troiana (presumibilmente avvenuta dal 1190 a.C., N.d.R.). Altre località che poi divennero pelasgiche, come Antemnae, Fescennium, Falerii, Pisae, Saturnia ecc. sarebbero state in origine fondate ed abitate dai Siculi mentre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome di Siciliano, avrebbe avuto al tempo di Dionigi ancora abitanti Siculi. Varrone (Marco Terenzio Varrone; Rieti, 116 a.C. - Roma, 27 a.C., N.d.R.) nel suo "De lingua latina", considerava i Siculi originari di Roma perché numerose erano le somiglianze tra la lingua loro e quella latina. Servio (Servio Mario Onorato, noto anche come Deuteroservio o Servio Danielino; fl. Floruit, aveva 40 anni alla fine del IV secolo; ... – ..., N.d.R.) considerava addirittura i Siculi giunti dalla Sicilia a Roma, e cioè proprio al contrario di tutte le altre testimonianze. Invece Festo (Sesto Pompeo Festo; Narbona, II secolo d.C. - ..., N.d.R.) fa i Siculi respinti dai Sacrani o Sabini insieme con i Liguri. Infine Solino (Gaio Giulio Solino; 210 circa - dopo il 258?, N.d.R.) li considera tra le più antiche popolazioni dell'Italia con gli Aborigeni gli Aurunci i Pelasgi e gli Arcadi. Anche i Sicani sono ricordati nel Lazio (l'antico Latium vetusN.d.R.), in "Solinosia" di Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio; Como, 23 - Stabiae, 25 agosto 79, N.d.R.), dove i Sicani sono considerati popoli della lega del Monte Albano. Questi stessi Sicani sono ricordati nell'Eneide di Virgilio come alleati dei Rutuli, degli Aurunci, dei Sacrani; Aulo Gellio e Macrobio li ricordano con gli Aurunci ed i Pelasgi. Evidentemente si tratta non di Sicani ma di Siculi, che nella tradizione poetica latina sono stati confusi tra loro. L'altra tradizione di Filisto di Siracusa (Siracusa, 430 a.C. - 356 a.C., N.d.R.) sarebbe quella che fa dei Siculi una popolazione ligure, ed i liguri sarebbero stati coloro che, secondo Tucidide e Dionigi di Alicarnasso, avrebbero spinto le popolazioni sicane dall'Iberia, costringendole ad occupare la Sicilia. Questa tradizione dell'origine ligure dei Siculi si ritrova in Stefano di Bisanzio (autore del VI sec., N.d.R.) in cui si cita un passo di Ellenico (Ellanico di Mitilene o di Lesbo o Lesbio; Mitilene, 490 a.C. circa - Atene, 405 a.C. circa, N.d.R.), e anche in Silio Italico (25 circa - Campania, 101, N.d.R.), i Siculi sono considerati Liguri. In seguito a queste affermazioni si è rilevata dagli storici moderni la presenza di nomi di città come Erice, Segesta ed Entella in Liguria. « Anche il nome di Alba s'incontra spesso in Liguria. Un luogo di questo nome trovasi a occidente del Rodano nel territorio degli Elvii. A settentrione di Massalia (Marsiglia) conosciamo una popolazione montana ligure degli "Aλβιείς", Albienses o Albiei, e nel suo territorio Alba Augusta. Seguono in direzione orientale sulle coste italiane Albium Intemelium, Albium Ingaunum, Alba Decitia. Non lontana dal versante settentrionale degli Appennini trovasi sul Tanaro Alba Pompeia. Da ciò viene il quesito, se non sia la stessa voce ligure contenuta nel nome di Alba Longa. Al tentativo di spiegare questo nome con l'aggettivo latino "albus" contraddice non solo che da qualche attributo non siasi giammai formato un nome di luogo, ma anche la considerazione che l'aspetto di Alba Longa debba destare una impressione opposta all'aggettivo latino. Questo luogo è collocato sopra materiali vulcanici dei monti Albani, e il colore fondamentale della regione è grigio-scuro. » (W. Helbig, "Die Italiker in Der Poebene", 1879. Wolfgang Helbig, archeologo tedesco; Dresda 2 febbraio 1839 - Roma 6 ottobre 1915, N.d.R.). G. Sergi (Giuseppe Sergi; Torino, 4 novembre 1946, N.d.R.) facendo riferimento alle affermazioni di Helbig sulla strana natura del nome "Alba Longa", conviene che «il colore dei monti Albani è scuro, bluastro quasi, e va al nero in alcune ore del giorno». Quindi Alba Longa non poteva apparire molto "alba". Ma oltre Alba Longa si hanno nomi derivati da Alba come i monti Albani, il lago Albano, e il più importante di tutti il nome di Albula, già nome del Tevere. Sergi si chiede quindi se Alba Longa sia stato un abitato Ligure. Nel Lazio non c'è mai stata una tradizione che ricordi i Liguri, ma invece i Siculi, come leggiamo in Dionigi di Alicarnasso: « La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi nè oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni » (Dionigi di Alicarnasso I, 9; II, 1; traduzione di Sergi). Ed esaminando i caratteri fisici dei Liguri e dei Siculi, Sergi avrebbe stabilito la loro identità: anche da ricordi archeologici risulta esservi stato un simile comune costume funerario; e lo scheletro neolitico di Sgurgola presso Anagni era colorato in rosso come gli scheletri neolitici delle Arene Candide (e dei Balzi Rossi, N.d.R.), siti archeologici della Liguria. Liguri e Siculi sarebbero stati quindi due rami dello stesso ceppo umano, solo che, avendo differenti abitati, sarebbero stati erroneamente considerati come due razze diverse. La teoria è quindi che quando si parla di questi antichissimi barbari Siculi, primi abitatori della città che poi fu Roma, si tratti di una popolazione ligure-sicula condotta da Siculo. Troviamo effettivamente riscontro in Filisto di Siracusa che, riportato da Dionigi di Alicarnasso, sostiene che la gente, la quale passò dall'Italia in Sicilia, non era di Siculi, ma di Liguri condotti dal loro re Siculo, da cui è derivato il nome della popolazione. Servio (Servio Mario Onorato, noto anche come Deuteroservio o Servio Danielino; fl. floruit, aveva 40 anni alla fine del IV secolo, N.d.R.) scrive che la città da lui denominata "Laurolavinia", composizione delle due, Laurentum e Lavinium, che si fusero, sorse dove già abitava Siculos. Antioco di Siracusa (Antioco di Siracusa o Senofaneo; 460 a.C. - ..., N.d.R.) ci dice che: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (in Dionigi di Alicarnasso, 1,12). Da questo resoconto possiamo prendere coscienza che in quei tempi, le popolazioni prendevano il nome dal loro capo e non da origini etniche. Nel Lazio ed in altre regioni d'Italia, l'identità etnica dei Siculi con i Liguri è rivelata dai nomi dei luoghi, montifiumi, laghi, oltre che dalle forme nominali etniche dei rami differenti della stirpe. Le teorie che abbiamo visto sulle origini centro italiche prima, e liguri poi, si incontrano e si sposano perfettamente con questa teoria: Dionigi d'Alicarnasso, che aveva scritto come i Siculi fossero i più antichi abitanti della città che fu Roma e del territorio latino, narra che i primi ad aggredirli per occupare il loro abitato, con lunga guerra, furono i cosiddetti Aborigini (probabilmente gli Umbri, N.d.R.) che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia, che da loro avrebbe preso il nome. Non tutti i Liguri-Siculi avrebbero seguito Siculo in Sicilia e sarebbe per questo motivo che si riscontrano tracce liguri-sicule in tante regioni italiane. La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta da Dionigi di Alicarnasso: « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca vuol dire λευκή ("bianca" in italiano), ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66). Quale fosse quest'altra "Alba", e dove, Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova sia detta "Longa" (μακρά); inoltre il suffisso alb, in greco, significava camice, nulla a vedere quindi con "bianco". Livio (Tito Livio; Patavium, 59 a.C. - Patavium, 17 d.C., N.d.R.), invece, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (Livio, I, 3). Traducendo sommariamente: "Questo Ascanio, di cui non si sa né dove né chi sia la madre, è il figlio di Enea, uno di Lavinium, fiorente congregazione che per lui fu matrigna, per cui fondò una prospera e ricca città ai piedi dei colli Albani, chiamata Alba Longa". Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, vuol dire che già questo monte aveva un nome, che potrebbe, secondo Sergi, essere un nome tipicamente ligure (e quindi siculo), in quanto non potrebbe significare bianco, come indicherebbe la lingua latina, per via della palese colorazione scura-bluastra tendente al nero dei monti Albani. Dionigi, che aveva preso la tradizione dagli autori della tradizione romana, traduce infatti Alba per Λευκή, Bianca. Sergi dopo aver esaminato il nome "Alba Longa", passa ad osservare i suoi derivati e si sofferma su "Albula", antico e primitivo nome del Tevere, come Livio, Plinio, Virgilio (Albula nomen) scrissero. Si conclude che il nome non può aver a che fare con la colorazione del fiume, in quanto Virgilio stesso chiama "flavus" (= giallo) il Tevere, poiché trasporta sabbia, poi ancora lo chiama "caeruleus" (=ceruleo) e anche Orazio lo chiama flavum (= giallo). Esiste un altro fiume Albula nel Piceno, ricordato da Plinio nell'enumerare abitati e fiumi della quinta regione italica, il Piceno; e nomina anche fra altre città "Numana", a Siculis condita. Ciò significa che la regione era occupata dai Siculi, i quali diedero i nomi dei fiumi e degli abitati secondo il loro linguaggio. Poi ancora abbiamo Albinia, nell'Argentario, territorio che fu in seguito etrusco, ancora una città Alba vicina al Fucino (in Abruzzo, rifondata da Roma come colonia di diritto latino nel nel 304/303 a.C., N.d.R.) e Alba in Piemonte, un monte Alburnus in Lucania, un fiume Alba in Sicilia, ricordato da Diodoro Siculo; e in Liguria Alba Pompeia, Alba Decitia, e Albium o Album o Alba Intemelium e Ingaunum, (Albenga da Albium Ingauna e Ventimiglia da Albium Intemelia); Albiei e Alba nella Provenza; Alba nella Betica in Spagna e Alba fiume a nord-est della Spagna. Ancor più sorprendente il ricordo di Strabone, che le Alpi prima avessero il nome di Albia, e Albius mons era detta la sommità delle Alpi ora Giulie. G. Sergi esamina attentamente i rapporti linguistici che potrebbero esserci fra i tratti linguistici siculi e quelli liguri, ma non solo. Inizia il suo studio ponendo lo sguardo su alcuni suffissi che egli ritiene caratterizzanti dei linguaggi liguri e siculi. Un suffisso caratteristico ligure accettato è quello delle parole terminanti in -sco, -asco, -esco, in nomi propri, dovuto alla scoperta di un'antica iscrizione latina dell'anno 117 a.C., dove trattasi di un giudizio in una controversia territoriale fra Genuenses e Langenses (i Viturii Langenses abitavano nell'alta Val Polcevera. La tavola bronzea di Polcevera, detta anche Sententia Minuciorum, è una lamina di bronzo sulla quale è incisa un'iscrizione in lingua latina che riporta una sentenza emessa dal Senato romano nel 117 a.C. Il reperto, di primaria importanza non solo per la storia locale, ma anche per la storia del diritto, l'epigrafia e la linguistica, è ora conservato nel Museo Civico di Archeologia Ligure di Pegli, N.d.R.). Qui s'incontrano i nomi di Novasca, Tulelasca, Veraglasca, Vineglasca. Inoltre nella tabula alimentaris riferibile alla disposizione di Traiano imperatore, per soccorrere di viveri fanciulli e fanciulle, si trovano altri nomi liguri con la stessa terminazione. Il Zanardello Tito (Tito Zanardelli; 1848-?, giornalista e anarchico italiano, N.d.R.), in alcune sue memorie, tentò di mostrare l'espansione dei nomi con tale suffisso ligure e anche di altri similmente liguri non soltanto in Italia, ma ancora nell'antica Gallia compreso il Belgio; e calcola seguendo il Flechia (Giovanni Flechia, glottologo, indologo e accademico italiano; Piverone, 6 novembre 1811 - Piverone, 3 luglio 1892, N.d.R.), che il numero dei nomi italiani col suffisso -sco in alta Italia supera 250; e simili forme si sono trovate nella valle della Magra, nella Garfagnana e altrove. Abbiamo nomi etnici Volsci, Osci o Opsci, poi Graviscae, città tenuta dagli Etruschi, Falisci, un popolo o una tribù Japuzkum o Iapuscum delle Tavole icuvine; e poi Vescellium in Arpinia, Pollusca nel Lazio, Trebula Mutuesca nell'Umbria, Fiscellus, monte ai confini dell'Umbria, ed altri altrove. Poi ancora abbiamo il nome di Etrusci e Tusci, che adoperarono i Romani e dopo gl'Italiani e altri.
Altri suffissi:
-la, -lla, -li, -lli, come in Atella, Abella, Sabelli, Trebula, Cursula;
-ia, -nia, -lia, come in Aricia, Medullia, Faleria, Narnia;
-ba, come in Alba, Norba;
-sa, -ssa, come in Alsa, Suasa, Suessa, Issa;
-ca, come in Benacus (Benaca), Numicus (Numica);
-na, come in Artena, Arna, Dertona, Suana;
-ma, come in Auxuma, Ruma, Axima, e forse anche Roma;
-ta, -sta, come in Asta, Segesta, Lista;
-i, come Corioli, Volci o Volsei."
A proposito della radice Alb è interessante ciò che scrive Francesco Perono Cacciafoco in: http://www.unior
.it/userfiles/workarea_477/LZ6%20Perono_pp102_128.pdf, che motiverebbe fra l'altro la successiva  fusione dei Liguri con le popolazioni Celtiche. "La famiglia toponimica paleoligure di Alba, connessa a idronimi paleoeuropei in Alb- e, apofonicamente, al tipo Olb- (anche Orb- in area ligure), non rappresenta una formazione diretta sull’aggettivo indoeuropeo albho- ‘bianco’, ma, insieme a questo, continua un radicale pre-protoindoeuropeo Hal-bh- ‘acqua’ attestato anche dal sumerico "halbia", (accadico halpium, ‘sorgente, massa d’acqua, cavità d’acqua’) ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento della radice  protoindoeuropea Hal- ‘nutrire’. Simile diffusione ha la base indoeuropea HwaH-r- ‘acqua’. Alcuni toponimi e idronimi di area ligure (l’area linguistica e culturale di formazione di nomi quali Olbicella, appunto) e delineando l’esistenza di una “famiglia” di denominazioni di luoghi che ci piace definire (sulla base del radicale non solo indoeuropeo che è all’origine della loro formazione) “città d’acqua”. Esistono prove di elementi comuni, sia pure remoti (già dalla fase indoeuropea), in ambito culturale e linguistico, tra gli antichi Liguri e gli abitanti (ad essi contemporanei) dell’Europa occidentale storicamente noti, almeno in parte, come Celti. Una macroscopica similitudine toponimica riguarda la Britannia (forse solo quella meridionale, in origine). Si ritiene (e l’ipotesi è assai convincente)che Albiōn ,il nome di origine ancestrale della Britannia, sia connesso con le forme toponimiche liguri Albium e Album. La radice della denominazione è comune ed è, appunto, alb indoeuropeo albh. Da Albium ed Album derivano nella toponomastica ligure antica e “contemporanea” tra gli altri, l’omologo (omofono ed omografo rispetto alla seconda forma) Album, Album, Inganum, Album, Ingaunum, Albingaunum, ‘Albenga’, Albium Intemelia ‘Ventimiglia’, Albuca (nelle Gallie ed in Aquitania), Alba in provincia di Cuneo, Alba Heluorum in Provenza, Alba, attuale Arjona, in Spagna. Giacomo Devoto (glottologo, linguista e rettore italiano; Genova, 19 luglio 1897 - Firenze, 25 dicembre 1974, N.d.R.) segnala inoltre come di possibile ascendenza (o influenza nella formazione onomastica) ligure, il toponimo di Albona, città istriana che sorge a pochi chilometri di distanza dal mare. Tutte queste denominazioni sono riconducibili direttamente alla radice "alb" e a una forma simplex che è Album. Ma Album non è connesso primariamente (si appurerà in seguito come si tratti di uno spostamento di significato rispetto all’originale) al latino albus, ‘bianco’. Deriva, invece, dalla radice "albh" che è la base, ad esempio, dell’idronimo germanico Albis, il nome del fiume Elba. Tutti questi nomi indicano stanziamenti su canali, su fiumi o su mari, in pratica luoghi situati in prossimità dell’acqua (e anche idronimi, denominazioni, appunto, di referenti che coincidono con l’iconimo: corsi d’acqua). Quel che a noi interessa in questa sede è che come la radice "albh" viene a essere la base dell’idronimo Albis, nome di origine ancestrale (in quanto idronimo paleoeuropeo) del fiume Elba, così essa è la componente generativa di alcune delle numerosissime denominazioni (antiche e “contemporanee”) di Olbia, che denotano, come tutti i nomi formati dalla radice "albh", luoghi situati su canali, fiumi o mari. Olbia, la più antica colonia di Mileto, sul Mar Nero, ad esempio, ebbe come nome epicorico Olbia (senza varianti), derivato dalla radice "albh" con apofonia vocalica della [a] iniziale nel grado atimbro [o] (il radicale "olbh" è equivalente sul piano lessicale e derivato a livello morfofonologico dalla base "albh"). Olbia si ritrova, come toponimo, in Britannia, sulla destra del fiume Bug (in Ucraina), in Provenza, in Sardegna e altrove, a latitudini molto differenti, dunque in Licia e nell’Ellesponto; naturalmente, soprattutto nel caso delle colonie elleniche, è stata inevitabile una sovrapposizione motivazionale col beneaugurante aggettivo greco ólbios, (femminile olbía). Se si resta nell’ambito di denominazioni legate alla radice "albh" e al significato di‘acqua’, può essere interessante ricordare che Albula, fu l’antico nome del fiume TevereAlbiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, viene a denotare, dunque, la grande isola sul Canale della Manica, un locus, quindi, sull’acqua e circondato dall’acqua. La ricostruzione "albh" (con bh richiesta dal germanico b/in Albiz, ‘Elba’) non è tuttavia l’unica presa in considerazione nella glossografia. Giovanni Semerano (Giovanni Maria Semerano, bibliotecario, filologo e linguista italiano, studioso delle antiche lingue europee e mesopotamiche; Ostuni, 21 febbraio 1911 - Firenze, 20 luglio 2005, N.d.R.), tra gli altri sostenitori dell’origine della radice "alb" da una famiglia linguistica non indoeuropea (nella teoria dell’Autore questo è postulato per definizione, dato che viene rifiutata l’esistenza stessa dell’indoeuropeo), propone una derivazione dall’antichissima voce accadica "alpium" a sua volta dal sumerico "albia", ‘sorgente’,‘massa d'acqua’,‘cavità d'acqua’. Questa forma si sarebbe poi trasferita nel sistema toponimico delle lingue "indoeuropee", da un lato mantenendosi immutata nella radice "alb"."

Dal 1.300 a.C. - Tucidide riferisce come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia poichè scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano (l'attuale Xùcar, Jùcar in castigliano, a sud di Valencia, vedi la mappa dei 7 fiumi sopra) nella penisola iberica, prima della guerra di Troia. I Sicani, avrebbero addirittura preceduto in Trinacria i Ciclopi e i Lestrigoni e da più fonti risulta che i Sicani fossero in realtà Iberi stanziati presso il fiume Sikanos in Iberia (Stefano di Bisanzio ed Ecateo ricordavano anche una città iberica chiamata "Sikanè"), da dove i Liguri li avrebbero scacciati. Da loro l'isola, che prima si chiamava Trinacria, finì col prendere il nome di Sicania. Ai tempi di Tucidide (460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C.), i Sicani avrebbero abitato la parte occidentale della Sicilia. Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.C., nelle Antichità romane, parlando degli aborigeni italici, riporta l'opinione di alcuni secondo i quali essi sarebbero stati coloni dei Liguri e definisce questi ultimi "vicini degli Umbri", riportando che avrebbero abitato "molte parti dell'Italia e alcune parti della Gallia" ma che non si conoscesse il loro luogo di origine. D'altra parte "Aborigini" vennero definiti anche gli italici dell'Italia centrale che, grazie all'aiuto dei Pelasgi, scacciarono i Liguri che facevano capo a Siculo dal continente. Dionigi di Alicarnasso riferisce inoltre dei versi del "Trittolemo" di Sofocle, che enumera i Liguri lungo la costa tirrenica a nord dei Tirreni e ancora riprende la notizia di Tucidide, riferendo come i Sicani fossero una popolazione di origine iberica, scacciata dal loro originario territorio dai Liguri, mentre secondo Filisto da Siracusa, gli stessi Siculi sarebbero stati Liguri, cacciati dalla loro terra dagli Umbri e dai Pelasgi e passati in Sicilia sotto la guida di Siculo, nell'ottantesimo anno prima della guerra di Troia. Infine Dionigi riferisce che i Liguri occupavano i passi delle Alpi e avrebbero combattuto contro Ercole (o contro Prometeo, secondo il "Prometeo liberato" di Eschilo). Nell'Eneide i Liguri figurano come una delle poche popolazioni che combattono al fianco di Enea nella guerra contro i Rutuli. Virgilio nomina anche due dei loro re, Cunaro e il giovane Cupavone, figlio e successore di Cicno, figura già nota nella mitologia greca. Per approfondire inoltre l'origine Ligure dei Siculi e altre notizie sui Sicani, dal libro "La Tirrenia antica", opera in due volumi scritta da Claudio De Palma del 1983 pubblicata da Sansoni Editore (volume primo, pagine 214-215): "i Pelasgi... un popolo che occupava in antico tutto il bacino dell'egeo e tutta la Grecia continentale compreso il Peloponneso e occupò in seguito vaste zone dell'Italia... nessuna altra stirpe pregreca viene descritta dagli storici antichi come colonizzatrice di estensioni così vaste, e l'opera di colonizzazione sembra partisse appunto dalle bocche del po, con Spina, e di qui si irradiarono per tutta la pianura padana fondandovi le dodici città ricordate da Diodoro Siculo (xiv, 113, 1), che secondo lo storico  preesistevano  all'occupazione da parte degli etruschi di almeno sette secoli". Spina era un'antica città situata nella bassura padana accanto alle sponde dell'Adriatico, la cui esistenza è attestata da varie fonti. Tra queste Dionisio di Alicarnasso (Ant. rom., I, 18, e 28, 3) secondo il quale schiere di Pelasgi, o per consiglio dell'oracolo di Dodona o per sottrarsi agli Elleni, passarono per mare in Italia, e presso il fiume Spinete (un ramo del Po, nei pressi dell'attuale Comacchio) fondarono un accampamento, che si trasformò nella florida città di Spina, che mandava doni votivi a Delfi; ai Pelasgi successero i barbari (cioè i Celti), poi i Romani. Spina, come riferiscono Strabone e Plinio, aveva un edificio per contenere doni votivi, nel santuario apollineo di Delfo. Era perciò considerata come città ellenica, e l'elemento ellenico dovette essere numeroso in Spina, specialmente quando nei primi tempi del secolo IV a. C. Dionisio il Grande, signore di Siracusa, fece sentire il suo potere alle foci del Po. Tale elemento ellenico si dovette distendere sull'elemento etrusco e sull'antico elemento etnico veneto o umbro; poi fu l'assoggettamento di Spina ai Galli (dall'inizio del sec. III a. C.). Ai tempi augustei Spina era ridotta a un semplice villaggio.

Nel 1.270 p.e.v. (a.C.) Popolazioni Liguri chiamate Siculi, poiché guidate dal re Siculo, figlio di Italo, approdano in Sicilia, che da allora prende il nome da loro. Dagli Itali, la popolazione di Liguri che rimasero sul continente il cui re era Italo, l'Italia prenderà il nome, esattamente durante le guerre sociali contro Roma del 91-88 a.C.. Filisto di Siracusa (Siracusa, 430 a.C. - 356 a.C.) data l'immigrazione sicula nell'ottantesimo anno prima della guerra di Troia, avvenuta presumibilmente dal 1.190 al 1.180 a.C., e identifica i Siculi con una popolazione di Liguri il cui capo Sikelòs era figlio di Italos, cacciati dal continente dagli Umbri che avevano chiamato in soccorso i Pelasgi, probabili antenati degli Etruschi.
Popoli antichi della Sicilia.
« I Siculi passarono in Sicilia dall'Italia - dove vivevano - per evitare l'urto con gli Opici. Una tradizione verosimile dice che, aspettato il momento buono, passarono su zattere mentre il vento spirava da terra, ma questa non sarà forse stata proprio l'unica loro maniera di approdo. Esistono ancor oggi in Italia dei Siculi; anzi la regione fu così chiamata, "Italia", da Italo, uno dei Siculi che aveva questo nome. Giunti in Sicilia con numeroso esercito e vinti in battaglia i Sicani, li scacciarono verso la parte meridionale ed occidentale dell'Isola. E da essi il nome di Sicania si mutò in quello di Sicilia. Passato lo stretto, tennero e occuparono la parte migliore del paese, per circa trecento anni fino alla venuta degli Elleni in Sicilia; e ancor oggi occupano la regione centrale e settentrionale dell'isola. » (Tucidide, Storie IV,2; traduzione di Sgroi). Gli Opici erano un antico popolo di ceppo latino falisco (o protolatino) stanziato nella Campania pre-romana, nella regione che da loro prese il nome di "Opicia". Probabilmente provenienti dalla Puglia e Lucania, si insediarono nell'area nel contesto del primo processo di indoeuropeizzazione dell'Italia peninsulare, quello che portò all'ingresso nella penisola dei Protolatini (II millennio a.C.) e comunque non dopo l'XI secolo a.C.. Gli Opici arrivarono in Campania dopo aver in un primo momento sospinto i Siculi verso la Sicilia e a loro volta essere stati poi premuti dagli Enotri. Nei primi secoli del I millennio a.C. furono sopraffatti e assimilati dall'irruzione nella loro area da diverse popolazioni: dapprima gli Etruschi (verosimilmente non indoeuropei) e successivamente nuovi nuclei indoeuropei, questa volta di ceppo osco-umbro: gli Osci, originatisi dai Sabini attraverso un rito di primavera sacra, una ricorrenza rituale di origine italica, praticata poi da diversi popoli dell'Italia antica, che comportava la deduzione di nuove colonie. Veniva celebrata in occasione di carestie e in momenti difficili, o per scongiurare un pericolo particolarmente grave. Un altro fattore importante era la pressione demografica, per cui tramite questo rituale si favorivano i processi migratori. Questo rituale era diffuso presso i Sabini e, sporadicamente, praticato anche dai Romani; traeva origine da una promessa al dio Mamerte (il dio Marte presso gli Osci) e consisteva nell'offrire, come sacrifici, tutti i primogeniti nati dal 1º marzo al 1º giugno (oppure, nel caso dei Sabini, quelli nati dal 1º marzo al 30 aprile) della seguente primavera. Gli animali venivano effettivamente sacrificati, mentre i bambini non venivano realmente immolati, crescevano piuttosto come sacrati (cioè protetti dagli dei) per poi, giunti all'età adulta, dover emigrare per fondare nuove comunità (colonie) altrove. In questa maniera nasceva un nuovo popolo. La migrazione era guidata secondo una procedura totemica: si interpretavano i movimenti ed il comportamento di un animale-guida, per trarne auspici e indicazioni sulla direzione del viaggio. Ogni tribù aveva un animale sacro agli dei; per i Sanniti era il toro, per gli Irpini il lupo, per i Piceni il picchio e così via.
Comunque gli Osci assorbirono anche il nome degli Opici, adattandolo alla lingua osca (probabilmente nella forma ops-ci) e lo reinterpretarono, sulla base del tema nominale osco ops- (cfr. latino ops, "risorsa"), come "popolo dei lavoratori", o forse anche "popolo degli adoratori della dea Ops". La fusione degli Opici latino-falisci, degli Etruschi pre-indoeuropei e degli Osci osco-umbri fu completa, tanto che il termine "opico" continuò ad essere utilizzato come sinonimo di "osco".
« La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (Antioco di Siracusa, in Dionigi di Alicarnasso 1, 12). 
Šekeleš, un tempo anche scritto Sakalasa o, più correttamente, Shakalasha (Shklsh), uno dei Popoli del Mare, sono stati associati ai Siculi (quindi Liguri), popolazione che si stanziò nella tarda età del bronzo in Sicilia orientale scacciando verso occidente i Sicani.

- I territori in cui erano stanziati i Liguri coprivano una grande estensione geografica. La nazione ligure era costituita da innumerevoli tribù e ancora nel IX secolo a.C. era, nell'opinione dei Greci, la vera rappresentante dell'Occidente, come gli Sciti lo erano del Settentrione e gli Etiopi del Meridione mediterraneo, mentre all'inizio dell'era volgare (primi anni d.C.) era talmente decaduta sotto ogni aspetto che Strabone, nella sua geografia, non crede neppure valga la pena di occuparsene e se la sbriga con poche parole.

- Il poeta greco Esiodo (VIII secolo a.C. - VII secolo a.C.), nell'VIII/VII secolo a.C., fa per primo menzione dei Liguri, e dà loro il nome di Libuas, che i più leggono Liguas e Ligoas, e li considera come la principale nazione dell'Occidente del Mediterraneo. La discussa versione di un frammento di Esiodo (fine VIII inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone in "Geografia", riferendosi ai più antichi abitanti continentali sul Mar Mediterraneo riporta: "...gli Etiopi e i Liguri e gli Sciti mungitori di cavalle".

- Nel 600 a.C. viene fondata Massalia, l'attuale Marsiglia. Nella particolareggiata leggenda di Massalia, si racconta come i primi coloni di Focea, Simos e Protis, provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure Nannu sarebbero stati invitati, in una lingua incomprensibile, a partecipare ad un banchetto al quale a loro insaputa la figlia di Nannu, Gyptis avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il greco Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia. Questo episodio ci fa intendere che Massalia non può essere considerata una colonia esclusivamente greca, ma più probabilmente era luogo di un'intesa greco-ligure come accesso al Mediterraneo dei commerci continentali occidentali e viceversa (sale, metalli, ambra, vino, manufatti ecc.). Stefano di Bisanzio verificò alcuni lemmi, forme di citazioni, presi in considerazione da Ecateo di Mileto, nel VI sec. a.C., fra cui Massalia: città della Liguria nel paese dei Celti; Ampelòs: città ligure ma di ignota locazione; Monoìkos: Monaco, città "ligustica"; Elisyci: popolo che faceva parte dei liguri, la cui capitale era Narbona Ligustìne: città iberica vicino a Tartesso; Agàthe: città dei ligusti presso il lago "ligustio". Questo "lago lacustio" evoca il "lacusticus lacus" dell'area di Tartesso, quindi in Iberia, nei pressi dell'attuale Siviglia. Vi è una Agàthe anche nella Languedoc, nella zona della Camargue occidentale, ma si pensa che quella Agàthe fosse una città iberica presso Tartesso.

- Nel 600 a.C. viene fondata Massalia, l'attuale Marsiglia. Nella particolareggiata leggenda di Massalia, si racconta come i primi coloni Focei, Simos e Protis, provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure Nannu sarebbero stati invitati in una lingua incomprensibile a partecipare ad un banchetto al quale a loro insaputa la figlia di Nannu, Gyptis avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il greco Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia. Questo episodio ci fa intendere che Massalia non può essere considerata una colonia esclusivamente greca, ma più probabilmente era luogo di un'intesa greco-ligure come accesso al Mediterraneo dei commerci continentali europei e viceversa (sale, metalli, ambra, vino, manufatti ecc.).
Stefano di Bisanzio verificò lemmi presi in considerazione da Ecateo di Mileto, nel VI sec. a.C.:
Massalia: città della Liguria nel paese dei Celti
Ampelòs: città ligure ma di ignota locazione
Monoìkos: Monaco, città "ligustica"
Elisyci: popolo che faceva parte dei liguri, la cui capitale era Narbona Ligustìne: città iberica vicino a Tartesso
Agàthe: città dei ligusti presso il lago "ligustio"
Questo "lago lacustio" evoca il "lacusticus lacus" dell'area di Tartesso, quindi in Iberia, l'attuale Spagna e Portogallo. Vi è una Agàthe anche nella Linguadoca, nella zona della Camargue occidentale, ma si pensa che questa Agàthe sia la città iberica presso Tartesso.

- Numerosi sono i miti e leggende associate a Tartesso, impero fondato da genti Liguri, come memorizzato dal toponimo Lago Ligur, oggi nome del distretto a sud-ovest di Siviglia in cui il lago si è interrato, ma di cui rimangono i toponimi di due località, Isla Mayor e Isla Minima.
Bacino dell'antico Lago Ligur, con
Isla Mayor e Isla Minima.
Le fonti letterarie antiche possono fornirci una visione realistica di quel paese, velato dalle nebbie del tempo. Anche se vi è un alfabeto e una scrittura tartessica,  non sono stati ancora decifrati, nonostante gli sforzi di molti studiosi; quindi abbiamo a che fare solo con quello che hanno scritto su Tartesso Greci, Fenici, Egizi, semiti e Romani.
Il documento più antico su Tartesso è il poema "Ora Maritima" di Rufo Festo Avieno (Volsinii o Bolsena, fl.= floruit, aveva 40 anni nella seconda metà del IV secolo). Anche se è stato composto intorno all'anno 400 d.C., il poeta utilizza come principale fonte di ispirazione la memoria scritta del viaggio di un marinaio massaliota (di Marsiglia), l'"Euthymenes", scritto nel VI secolo a.C. e forse qualche fonte fenicia ancora più antica. Il documento cita la città di Tartesso che si trova tra le braccia della foce di un fiume che corrisponde all'attuale Guadalquivir. La lettura prosegue  affermando che Tartesso ha governato su una vasta regione che si estende dalle regioni orientali, menzionando in particolare la città di Herma e la foce di un fiume, che potrebbe essere il Segura o il Vinalopó fino alla foce del Guadiana, nella metà meridionale del Portogallo. Avieno nomina anche diversi popoli stanziati a Tartesso, come i Cilbicenos, Etmaneos e Ileates, oltre che gli abitanti del regno di Selbyssena. Tuttavia, altri autori ci danno un'immagine minore dell'impero tartessico. Ecateo di Mileto, alla fine del VI secolo a.C., nel suo Periegesís, separa le città dei domini di Tartesso da quelle che i Mastienos avrebbero occupato in gran parte dell'Andalusia orientale, menzionando come città dei Mastienos: Mainobora nei pressi dell'attuale fiume Velez, Sixo, l'attuale Almuñecar, o Sualis (Fuengirola). Ciò ridurrebbe l'ambito tartessico al sud-ovest della penisola. Ecateo menziona anche le città Tartessiche di Elibirge (si può pensare ad Andujar) o Ibila, probabilmente, entrambe situate nella valle del Guadalquivir. Erodoto di Heraclea, e nel V secolo a.C. nomina i tartessici congiunti ad altre popolazioni come Cineti, Gleti, Elbisini, Mastieni e Celciani, tutti situati sulle sponde delle Colonne d'Ercole.
Link sull'argomento:
- Erodoto (Alicarnasso, 484 a.C. - Thurii, 425 a.C.), nel V secolo a.C., elencando i popoli che presero parte alla spedizione di Serse contro i Greci durante le guerre persiane, enumera i Liguri insieme ai Paflagoni e ai Siri. Il contesto della citazione avviene quando le forze armate di terra e di mare di Serse si concentrano a Doriscos, alla foce del fiume Maritza, in prossimità dell'odierno confine tra Turchia e Grecia e qui l'esercito venne passato in rassegna da Serse stesso. Secondo Erodoto risultarono presenti un milione e settecentomila soldati. Da http://www.misteromania.it/erodoto/storieVII.html: Erodoto: Le Storie, libro VII - Serse e Leonida. La battaglia delle termopili. Prima parte. 72) I Paflagoni marciavano con elmi di vimini intrecciati sul capo, armati di piccoli scudi e lance non lunghe, inoltre di giavellotti e pugnali; ai piedi avevano calzari del loro paese alti fino a mezza gamba. I Liguri (o Ligyes o Ligi, n.d.r.), i Matieni, i Mariandini e i Siri viaggiavano con la medesima dotazione dei Paflagoni; questi Siri sono chiamati Cappadoci dai Persiani. Paflagoni e Matieni li comandava Doto figlio di Megasidro, Mariandini, Liguri e Siri Gobria, figlio di Dario e di Artistone. Vedi anche http://www.maat.it/livello2/termopili.html. Di nuovo Erodoto cita i Liguri come mercenari tra i componenti dell'esercito radunato dal tiranno Terillo di Imera (nel territorio dell'attuale Termini Imerese, in provincia di Palermo) e comandato dal cartaginese Amilcare, figlio di Annone, che fu sconfitto da Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento. Amilcare Barca (Amilcare da "Melqart è misericordioso" e Barca da "Saetta"; 290 a.C. circa - Helike, 229 a.C.) è stato un generale e politico cartaginese. I suoi figli Annibale, Asdrubale e Magone mantennero il soprannome del padre sotto forma di patronimico: vennero chiamati infatti "Barcidi" e in seguito “Barca” finì per essere il cognome col quale la famiglia intera viene ricordata. Ma ecco come andarono i fatti. Alla morte di Dario gli successe il figlio Serse che governò i Persiani dal 486 al 465. Serse iniziò il suo regno con una spedizione contro l'Egitto che aveva tentato di recuperare la propria indipendenza. Domata la rivolta lasciò il governo egiziano in mano a suo fratello Achemene. Nel 482 Serse dovette affrontare una rivolta in Mesopotamia; riconquistò Babilonia e ne deportò la popolazione a Susa. Nel 480 ebbe finalmente tempo di occuparsi dei Greci. Serse aveva già predisposto la spedizione nei quattro anni precedenti, ora si trattava solo di dare il via all'operazione. Nel 480 a.C. l'esercito persiano si diresse verso la Grecia. A Siracusa, colonia spartana, regnava Gelone e questi propose di inviare: duecento triremi, duemila arcieri, duemila frombolieri, duemila cavalieri, rifornimenti di grano fino al termine della guerra, pose però la condizione di assumere il comando delle forze armate greche. Di fronte al rifiuto degli Spartani propose di assumere il comando della flotta. Ma questa volta furono gli Ateniesi ad opporsi. Non potevano accettare di essere sottomessi ai Siracusani. Gelone, che era così riuscito a non impegnarsi in un conflitto contro Serse, quando l'esercito persiano attraversò i Dardanelli, mandò a Delfi tre penteconteri a vedere come evolveva la situazione: in caso di vittoria dei Persiani dovevano essere presentati doni ed omaggi a Serse e in caso di vittoria dei Greci le navi dovevano rientrare a Siracusa. Il motivo del mancato intervento dei Siracusani fu dovuto in realtà alla difficile situazione della Sicilia dove si era concretizzata un'altra grave minaccia: Cartagine. Amilcare, uno dei capi dei Cartaginesi, aveva raccolto un'armata di trecentomila uomini costituita da Cartaginesi, Libici, Iberi, Liguri, Sardi e Corsi. Con queste forze era entrato in Sicilia e si apprestava a combattere i Greci. Secondo Diodoro Siculo esisteva anche un accordo tra Persiani e Cartaginesi per aggredire contemporaneamente i Greci dell'Occidente e dell'Oriente. Nel 480 avvenne la battaglia di Imera in cui Gelone riuscì a fermare l'avanzata di Amilcare. La concomitanza di Imera da una parte e delle Termopili e di Salamina dall'altra non sembra una pura coincidenza. Cartagine faceva largo uso di mercenari, e preferiva usare le sue ingenti ricchezze per pagarli piuttosto che rischiare in guerra la sua popolazione cittadina. Anche dal 264 a.C. al 146 a.C. Cartagine impiegò mercenari di ogni sorta, armamento e provenienza: furono celti, numidi, balearici, nuragici, siculi, liguri, etruschi, greci, corsi e iberici che combatterono nelle tre guerre puniche contro Roma.
Ricostruzione dell'antica foce del
Guadalquivir, l'antico Tartesso, col
Lago Ligur o Ligustino o Ligustico.
Sempre Erodoto nella metà del V sec. colloca i Liguri lungo la costa orientale dell'Iberia, definendoli "Ligues"; nel suo resoconto, nell'Iberia meridionale, non conosce che Cineti o Cinesi, creduti di origine africana e, sulla costa orientale, Iberi e Liguri (Ligues). Ecateo di Mileto (Mileto, 550 - 476 a.C.), geografo tenuto in grande considerazione dagli antichi ed anteriore a Erodoto, ricorda la città di Sicana nell'Iberia e, sulle sponde orientali dell'Iberia e su quelle meridionali della Gallia fino alla Tirrenia in Italia, non cita che Liguri, collocandoli sempre sulla costa, dove pone la LigisticaLigustica. Definisce inoltre Massalia città della Ligustica vicino alla Celtica, non nella Celtica, e Timeo di Tauromenio o di Taormina (Tauromenium, 350 a.C. circa - Siracusa, 260 a.C. circa) lo conferma con le stesse parole. Sofocle (drammaturgo greco antico figlio di Sofilo; Colono, 496 a.C. - Atene, 406 a.C.) nomina la Ligustica fra le contrade dell'Occidente visitate da Trittolemo (personaggio letterario narrato come figlio della dea Cerere, la divinità che dispensava il sapere dell'agricoltura), ed Euripide (drammaturgo greco antico; Salamina, 485 a.C. - Pella, 406 a.C.) dà a Circe l'appellativo di Ligustica. Antichi scrittori , tra cui Stefano di Bisanzio (VI sec. d.C.), ricordano una città Ligustica nel bacino del Tartesso (Betis o Guadalquivir), il quale secondo Rufo Festo Avieno, nella sua "Ora Maritima" (scritta sul resoconto di un marinaio massiliota del VI sec. a.C.), esce dal lago ligustico. Ed è proprio l'Ora Maritima di Avieno che ha spinto l'archeologo, storico e filologo tedesco Adolf Schulten (1870 - 1960) a ricercare e trovare le prove di una civiltà Tartessica sorta nel sito di una fiorente civiltà composta da proto-Liguri proprio nell'acquitrinoso Lago Ligur (Lagus Ligustinus per i Romani), collocato nel delta dell'antico Tartesso, il Guadalquivir.

Carta geografica ottenuta dal Periplo di Scilace, tratta da:
- Il Periplo di Scilace (Scilàce di Cariànda fu un antico navigatore, geografo e cartografo greco che visse tra il VI e il V secolo a.C., a cui i cartaginesi commissionarono alcune esplorazioni) è una descrizione delle coste del Mediterraneo e del Mar Nero redatta tra il VI e il V secolo a.C., che riporta la presenza dei Liguri mescolati agli Iberi tra i Pirenei e il fiume Rodano e dei "Liguri veri e propri" sulle coste tra il Rodano e il fiume Arno. Scilace di Cariandia non aveva trovato quindi, sulla costa da Emporiae al Rodano, che Liguri mescolati ad Iberi che coesistevano pacificamente come popoli della stessa stirpe, ma a est del Rodano fino alla Tirrenia non aveva visto che Liguri schietti. Affermava infine che Massalia (l'attuale Marsiglia) era stata fondata nella Ligustica e che i Celti non avessero ancora sedi sulla costa.

L'Ecumene di Erodoto, da: https://digilander.libero.it/
Nell'ecumene di Erodoto, redatto tra il 440 - 425 a.C., troviamo i Liguri dalla foce dello Jùcar, in Iberia, fino alla pianura padana. Tra il V ed il IV secolo a.C. furono frequenti i contatti commerciali con Etruschi, Cartaginesi, Campani e principalmente con i Greci Ateniesi e Massalioti, ma nessuno di questi popoli subentrò mai ai Liguri. Genova, abitata dai Liguri Genuati, era considerata dai Greci, dato il suo forte carattere commerciale, "l'emporio dei Liguri": legname per la costruzione navale, bestiame, pelli, miele, tessuti erano alcuni dei prodotti Liguri di scambio commerciale. A Genova il nucleo urbano del Castello iniziò, per i fiorenti commerci, ad ampliarsi verso l'odierna Prè (la zona dei prati) e verso il Rivo Torbido. Contattarono quindi anche le due popolazioni nordiche scese al sud, Umbri e Latini, che avevano originato la potenza romana. 

- Nel IV e III secolo a.C.
 i Liguri erano ancora prevalenti in tutta la Gallia meridionale. Aristotele (Stagira 384 o 383 a.C. - Calcide, 322 a.C.) pone i Liguri tra gli Iberi e i Tirreni, apportando anche alcuni particolari sui primi.

- Eratostene, che riunì nella sua geografia le principali notizie conosciute nel suo secolo (III a.C.), nell'accennare alle tre grandi penisole del Mediterraneo, dopo l'ellenica e l'italica nomina come terza la ligustica che diceva estendersi fino alle colonne d'Ercole, osservando anche che il mare ad occidente della Gallia fosse chiamato ligustico per il fatto che le sponde meridionali della Gallia stessa erano anticamente occupate dai Liguri, indicati generalmente come i primi abitanti storici e popolo prevalente in quella regione prima dei Celti: la penisola iberica era chiamata "Ligustiké", mentre quella italiana era chiamata "Italiké", e già i primi greci consideravano la Liguria quel territorio che andava dall'Etruria fino all'Oceano, oltre le Colonne d'Ercole.
Elmo Ligure.
Nel III secolo a.C. i Liguri si scontrano con l'espansionismo dei Romani, uno scontro  lungo e sanguinoso. Le ostilità furono aperte nel 238 a.C. da una coalizione di Liguri e di Galli Boi, ma i due popoli si trovarono ben presto in disaccordo e la campagna militare si arrestò con lo sciogliersi dell'alleanza. Durante la seconda guerra punica i Liguri fornirono soldati, esploratori e guide alle truppe di Annibale al momento di varcare gli Appennini. I liguri speravano infatti che il generale cartaginese li liberasse dal vicino romano. I Liguri parteciparono alla battaglia della Trebbia, in cui i cartaginesi ottennero la vittoria. Altri Liguri si arruolarono nell'esercito di Asdrubale quando questi calò in Italia nel 207 a.C. nel tentativo di ricongiungersi con la truppa del fratello Annibale. Nel porto di Savo (l'attuale Savona) allora capitale dei Liguri Sabazi, trovarono riparo le navi triremi della flotta cartaginese del generale Magone Barca, fratello di Annibale, destinate a tagliare le rotte commerciali romane nel mar Tirreno. I Liguri si divisero comunque tra alleati di Cartagine e alleati di Roma. Quando i Romani conquistarono una prima volta questo territorio, con l'aiuto dei loro federati Genuates (i genovesi), l'attuale regione della Liguria, futura IX Regio dell'Impero romano, che si estendeva dalle Alpi Marittime e Cozie, al Po, al Trebbia e al Magra, prese il nome con cui è ancora oggi chiamata. Con la definitiva sconfitta di Annibale a Zama nel 203 a.C. i Romani poterono riprendere la campagna contro i Liguri.

- Nel II secolo a. C., afferma Polibio (Megalopoli, 206 a.C. circa - Grecia, 124 a.C.), dalla foce dell'Arno a quella del Rodano si navigava per cinque giorni lungo il paese abitato dai Liguri, ragion per cui tutto quel tratto di mare si chiamava ligustico. Ma, avanzando ed espandendosi continuamente le conquiste dei Celti nella Gallia meridionale e occidentale, gli Iberi ne vennero ricacciati ed inseguiti entro i confini naturali della loro penisola, mentre i Liguri furono cacciati dalle coste settentrionali dell'Iberia e da quelle meridionali della Gallia, anche a Est del Rodano dove li troviamo comunque mescolati coi Celti col nome di Celto-Liguri. Molte tribù liguri, comunque, mantennero la propria autonomia e indipendenza soprattutto sulla costa fino alla dominazione romana nella seconda metà del II secolo a.C. Le principali tribù erano quelle degli Oxibii e dei DeceatiLiguri schietti, contro i quali poco o nulla poterono i Celti; e furono appunto quelle tribù che, a motivo delle loro perpetue ostilità contro Massalia, provocarono la prima guerra di Roma contro i Liguri transalpini (trans = al di là, delle Alpi). Diversi autori (Diodoro Siculo, Virgilio, Livio, Cicerone) riportano come i Liguri ancora nel II secolo a.C. vivessero in condizioni primitive e ci consegnano l’immagine di un popolo semiselvaggio, ferino, i cui guerrieri incutono timore solo con il loro aspetto. Nel contempo vengono però sottolineate le qualità di solidarietà ed onestà di una popolazione agricola e pastorale non ancora divisa in classi e in cui le donne affrontano le stesse fatiche degli uomini in una terra definita sassosa, sterile, aspra o coperta di alberi da abbattere. Non tutti gli autori antichi esprimono giudizi positivi, ad esempio Marco Porcio Catone definisce i Liguri ignoranti e bugiardi, un popolo che ha perso memoria delle proprie origini. Tutti questi elementi ci fanno capire come i Liguri, popolo antichissimo la cui diffusione in tempi remoti interessò gran parte del Mediterraneo Occidentale, furono assoggettati non senza difficoltà dai Romani, nei confronti dei quali la mancanza di una cultura, di tradizioni radicate, di una identità, di un’unità politica e di una classe nobiliare con potere decisionale, furono motivo di debolezza non sufficientemente bilanciata dal vigoroso temperamento che li caratterizzava. (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Liguri ).
La seconda fase dello scontro fra Liguri e Romani, nell'ambito della loro conquista della Gallia Cisalpina (cis = al di qua, delle Alpi) e quindi del passaggio costiero verso la Gallia Narbonese, si concretizzerà in una lunghissima campagna militare che durò dal 197 a.C. al 155 a.C..  
Antica scultura Ligure,
reperto di Luni.
I nomi dei centri abitati
in epoca romana e
quei centri oggi.
Storicamente l'inizio della campagna viene datato al 193 a.C. per iniziativa dei "conciliabula" (federazioni) dei Liguri, che organizzano una grande scorreria spingendosi fino alla riva destra del fiume Arno. In realtà i Romani avevano iniziato alcune limitate operazioni militari lungo l'appennino già negli anni precedenti (vedi ad esempio le operazioni del console Minucio Rufo del 197 a.C. a Casteggio). Nel corso di tutta la guerra i Romani vantarono 15 trionfi e almeno una grave sconfitta. Nel 186 a.C. i Romani vennero battuti dai Liguri nella valle del Magra; nella battaglia, che avvenne in un luogo stretto e dirupato, i Romani persero circa 4000 soldati, tre insegne d'aquila della seconda legione e undici vessilli degli alleati latini. Inoltre, nello scontro rimase ucciso anche il console Quinto Marzio. Si pensa che il luogo della battaglia e della morte del console abbia dato origine al toponimo di Marciaso o a quello del Canale del marzo sul Monte Caprione nel comune di Lerici e vicino ai ruderi della città di Luni, che sarà poi fondata dai Romani. Tale monte aveva un'importanza strategica perché da esso si controllava la valle del Magra ed il mare. Nel 180 a.C. i Romani, per poter disporre della Liguria nella loro conquista della Gallia, dovettero deportare 47.000 Liguri Apuani, confinandoli nell'area Sannitica.
La Liguria e i suoi maggiori centri in epoca romana.
Nel 180 p.e.v. (a.C.)  i proconsoli Romani Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo inflissero una gravissima sconfitta ai Liguri (soprattutto ai Liguri Apuani, irriducibili ribelli), e ne deportarono ben 40.000 nelle regioni del Sannio (compresa tra Avellino e Benevento). A questa deportazione ne seguì un'altra di 7.000 Liguri nel corso dell'anno successivo. Questi sono stati uno dei pochi casi in cui i Romani hanno deportato popolazioni sconfitte ed in numero così elevato. Nel corso della campagna i Romani fondarono, su agglomerati preesistenti, le colonie di Lucca (180 a.C.) e di Luni (177 a.C.), originariamente concepite come avamposti militari per il controllo del territorio e come basi di rifornimento per le legioni impegnate nella guerra. Già nel 177 a.C. gli ultimi gruppi di Liguri Apuani si arresero alle forze romane, mentre la campagna militare continuava più a nord. Le ultime resistenze furono vinte nel 155 a.C. dal console Marco Claudio Marcello. Anche dopo la loro sconfitta definitiva alcuni contingenti di Liguri operarono per qualche tempo come ausiliari negli eserciti romani, combattendo nella guerra contro Giugurta e nella campagna contro i Cimbri e i Teutoni. Una legione di Liguri era stanziata ad Olbia per opporsi alle incursioni dei Sardi dell'interno.

- Lo storico greco del I secolo a.C. Plutarco (Cheronea, 46/48 - Delfi, 125/127) riferisce che i Liguri  dessero a se stessi il nome di Ambrones, lo stesso di una delle tribù celtiche che si erano alleate con i germanici Cimbri e Teutoni nell'invasione dell'Italia iniziata nel 113 a.C. Nel 102 a.C. Ambroni, Cimbri e Teutoni, avendo l'intento di invadere il territorio italico, tennero una base in Gallia, dividendosi poi in due fronti. Gli Ambroni ed i Teutoni transitarono in Liguria, a est di Marsiglia, mentre i Cimbri entrarono in Italia passando dal Brennero, odierno Sud Tirolo. A questo punto i Romani decisero di nominare per la quinta volta console Gaio Mario, illegittimamente, visto che tale ruolo, valido per un anno, non era mai assegnato consecutivamente. Mario marciò in Liguria stabilendo un campo sul percorso del nemico. I Teutoni assaltarono il campo venendo respinti e decisero di proseguire aggirando il campo. Mario li seguì accampandosi vicino a quella che sarebbe passata alla storia col nome di battaglia di Aquae Sextiae, ai piedi delle Alpi (l'attuale Aix en Provence). Plutarco, nella vita di Mario 10, 5-6, scrive che i Celti Ambroni cominciarono a gridare "Ambrones!" all'inizio della battaglia; i Liguri, che fiancheggiavano i Romani, sentendo l'urlo e riconoscendo il nome che anch'essi usavano per i loro discendenti (οὕτως κατὰ ὀνομάζουσι Λίγυες), risposero con lo stesso grido "Ambrones!" e passarono dalla parte nemica. Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI.

Carta geografica nell'anno 6 d.C. La Liguria (da Nizza al Po al
Magra ) è la IX Regio Romana. Sono segnalati i Liguri
Intemeli ed Ingauni. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- I Romani chiamavano ‘Liguri dai capelli lunghi’ (Ligures comati) quei popoli Liguri stanziati nelle zone più montuose della Liguria e dell’Appennino tosco-emiliano. Nelle Alpi Marittime, molte tribù che si mantennero a lungo ostili ai Romani, continuando ancora a definirsi Ligures capillati al tempo di Augusto. In epoca romana la Liguria presentava per lo meno cinque strati linguistici ben identificati: latino, gallico, lepontico, antico europeo e pre-indoeuropeo. Per il post "Dal linguaggio ligure al celtico nell'Italia settentrionale antica, i 5 alfabeti usati e il runico germanico", clicca QUI.

- Nel 6 e.v.Genova divenne il centro della IX delle regioni dell'Italia augustea. Da quel momento la storia della Liguria confluirà in quella di Roma e ne seguirà il destino.


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