Elmo Lepontico di Filottrano |
Nell'Italia settentrionale sono stati
scoperti degli insediamenti definiti celtici-gallo-liguri, nella
zona dei laghi prealpini Maggiore e di Como, in una regione che è
stata chiamata Lepontia (Ll-pu-n-z = lepuntia), nelle odierne
Alpi Lepontine.
L'accettazione di una matrice linguistica Ligure non è sorprendente, visto che fin dall'antichità nel nord-est Italico erano insediate popolazioni Liguri, gli Euganei.
Quella degli Euganei fu una popolazione italica, ligure e preindoeuropea, che si insediò originariamente nella regione compresa fra il Mare
Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente furono scacciati
dai popoli Venetici e si ritirarono in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il
Lago di Como, dove rimasero fino alla prima età imperiale romana.
Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra
le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni
della Val Camonica. Si trattava probabilmente di un popolo
preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come
testimoniato dall'analogia dei nomi. Appartengono alla stessa stirpe
degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio anche gli Stoni in Trentino. Si dedicavano alla raccolta e alla
caccia ed erano nomadi. Scoprirono poi l'agricoltura e l'allevamento diventando sedentari e costruendo villaggi di capanne e palafitte, radunandosi in tribù. Già nei tempi antichi conoscevano l'uso dei
metalli. Testimonianze apprezzabili risalgono al
neolitico indicando una società piuttosto primitiva: tracce di
abitazioni, ma soprattutto manufatti di osso, selce e vasi di
terracotta ad uso religioso. Gli insediamenti principali sono stati
ritrovati sulle colline vicine a Padova; scendevano in pianura per
celebrare riti religiosi, in particolare in prossimità delle
sorgenti termali dove adoravano varie divinità, fra cui forse il dio
Apono, più tardi entrato a far parte dei culti delle popolazioni
Venetiche. Ad essi si deve il termine "Venezia Euganea" usato
in passato per definire la regione Veneto. Quando i Veneti raggiunsero il loro
territorio fra il XII e l'XI secolo avanti Cristo, provenienti da
un'imprecisata regione dell'Europa orientale, in parte spostarono
verso Ovest gli Euganei ed in parte li assorbirono fondendosi con
loro. Nel II secolo a.C. vennero sottomessi
dai Romani e si fusero con i popoli vicini.
Alfabeto Lepontico, o di Lugano. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Alfabeto di Lugano o Lepontico da: https://menhir-ticino.webs.com/alfabetoliticolugano.htm
La maggior parte dei ritrovamenti
consiste in epigrafi contenenti testi redatti in un alfabeto detto
"di Lugano" o anche, a volte, "etrusco di tipo
settentrionale". L'importanza di questo alfabeto è
testimoniata dal suo secolare utilizzo, anche dopo la conquista
romana. Dalle epigrafi risulta uno sviluppo in
due fasi:
- In una prima fase, risalente ai
secoli VI-V a.C., l'alfabeto comprendeva 19 lettere, con caratteri
tipici di un alfabeto etrusco arcaico. Sono presenti il segno del
digamma (v), il theta circolare puntato e tre segni per la sibilante
sorda: san a farfalla (s), sigma a tre tratti e sigma a quattro
tratti (s). A differenza dell'alfabeto etrusco è usata anche la
vocale "o".
Inoltre era caratterizzato dal theta puntato e dal digamma (una "v")
oltre che dalla lettera "A" tracciata come nell'alfabeto
etrusco.
- Questi caratteri si perdono in una
fase successiva (secoli III-I a.C.) in cui il leponzio fu usato per
trascrivere il gallico. Si osserva infatti la scomparsa del digamma e
del theta, mentre la A assume la forma di un digamma inclinato.
Quando sia avvenuto il passaggio dell'uno all'altro alfabeto, non è
ancora del tutto chiaro, poichè le iscrizioni databili al pieno IV e
al III secolo a.C. sono estremamente rare. Alcune note velocissime: le lettere K,
T e P sono scritte in maiuscolo, perché il Lepontico non distingueva
tra occlusiva sorda e sonora, per cui K può rappresentare "k"
o "g", P può rappresentare "p" o "b",
T può rappresentare "t" o "d"; la lettera "ś"
(il "segno a farfalla") è la seconda sibilante del
Lepontico (oltre alla "s") e si pensa che il segno relativo
alla lettera "z" si debba leggere con un suono in area "d". Dall'abitato protostorico dei dintorni
di Como provengono oltre un centinaio di ceramiche iscritte databili
al periodo Golasecchiano III A (V-inizi IV secolo a. C.), ma
purtroppo quasi tutte mutile per lo stato frammentario di
conservazione. Queste iscrizioni recano di norma nomi in caso
nominativo (ad es. "alios" su un bicchiere di Civiglio) o
genitivo (ad es. "plioiso" su due ciotole da Rondineto e da
Camerano). Si tratta quindi di iscrizioni di
possesso. A volte i nomi sono abbreviati o con semplici lettere
iniziali (ad es. "pe", "al") oppure con la
notazione delle sole consonanti (ad.es. "prn" su una
ciotola di Brunate). Dallo scavo di via Isonzo (area IAPC), proviene
un frammento di ciotola con una serie alfabetica parziale, limitata
alle prime tre lettere "a,e,v". In questo caso è evidente il valore
magico e simbolico attribuito all'alfabeto da popolazioni in cui la
scrittura era appannaggio di un gruppo molto ristretto della società.
Qui è palese il riferimento ai segni dell'alfabeto Retico dei Retii
abitanti nella regione svizzera dei Grigioni, confinante con il
Cantone Ticino, ecco perchè viene anche detto l'alfabeto di Lugano,
inoltre alcuni segni di tale alfabeto sono identici ai segni
runici o Rune, utilizzate
nelle divinazioni dalle popolazioni germaniche, più o meno della
stessa era e sempre incise su pietra. Valore forse anche apotropaico,
sottolineato dall'associazione con il numero tre. L'aggettivo apotropaico (dal greco,
apotrépein = "allontanare") viene solitamente attribuito
ad un oggetto o persona atti a scongiurare, allontanare o annullare
influssi maligni. Si parla ad esempio di monile apotropaico, rito o
gesto apotropaico, e generalmente i simboli e gli oggetti di questo
tipo condividono la comunanza nell'allontanamento da qualcosa, intesa
spesso come "tenere a distanza". Si può intendere come suo sinonimo
anche l'atto dello scongiurare, come ad esempio i riti apotropaici
che venivano riservati ai generali in trionfo dell'antica Roma. Si incontrano oggetti apotropaici anche
in ambito filosofico: Nietzsche sosteneva, ad esempio, che il senso
del pudore esiste ovunque vi sia un mistero, e che in questo caso la
"funzione apotropaica" del pudore sia appunto allontanare
la paura dell'oggetto misterioso. Apotropaica era anche la funzione del
Lamassù, statua dal corpo di un toro alato e volto umano che veniva
posta alle porte di Babilonia. L'uso di segnare manufatti con le
tre prime lettere dell'alfabeto è ampiamente attestato presso
gli Etruschi, ma si trova perfino ad Atene in età geometrica.
Stele di Prestino, scritta nell'alfabeto Lepontico, o di Lugano Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Al periodo Golasecca III A (V secolo
a.C.) risale l'importantissima iscrizione di Prestino incisa in
una grafia esemplare su una trave di arenaria lunga 3,75 m., scoperta
nel 1966 nel settore SW dell'abitato protostorico.
Nella famosa stele di Prestino,
sede dell'antica Comum (Como), si legge: “UVAMOKOZIS PLIALE U
UVLTIAUIOPOS ARIUONEPOS SITES TETU”. Non vi sono traduzioni specifiche di
questo testo, tuttavia si potrebbe dedurre, capire od interpretare
due degli etimologhi come nomi di dei o divinità: UVLTIAUIOPOS e
ARIUONEPOS. A questa iscrizione sono da ricollegare
per i caratteri paleografici altre iscrizioni su pietra, come una
recentemente scoperta a Mezzovico (in CH) nel Sotto Ceneri e quella
di Vergiate (VA). La lingua di queste più antiche iscrizioni
"leponzie" è concordemente ritenuta celtica dagli studiosi
(M. Lejeune, A.L. Prosdocini, C. de Simone, G. Colonna). Si tratta di
uno strato linguistico celtico pre-gallico, ovvero anteriore
all'invasione gallica del 388 a.C. e dalle recenti ricerche
individuato anche come una componente del ligure, che viene
così a perdere il carattere sostanzialmente preindoeuropeo a lungo
attribuitogli. Ligure e Leponzio, quindi, farebbero
parte di un area linguistica caratteristica dell'Italia
nord-occidentale da inserire nel più vasto quadro della famiglia
delle lingue celtiche. Le iscrizioni leponzie più recenti, del I
secolo a.C., mostrano le caratteristiche di una lingua gallica,
certamente accentuate dagli intensi contatti e scambi culturali con
le tribù galliche che hanno occupato la pianura padana. Ad es. il
vaso a trottola di Ornavasso, databile al periodo LT D, si legge
"Latumarai Sapsutaipe vinom nasom" da tradurre "Latumaro
Sapsuteaque vinum Naxium". Latumaros è un nome gallico che
significa "grande"; la congiunzione "-pe"
corrisponde al latino "-que" e mostra il passaggio da "kw”"
a "p", tipico del gallico continentale e dell'osco/umbro, a
differenza del celtico insulare e del latino in cui permane
l'originaria velare indoeuropea. (Raffaele De Marinis)
Alfabeto Tartessico. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Dobbiamo considerare che le più antiche popolazioni occidentali europee e pre-indoeuropee, furono i Liguri (per il post " Liguri: Storia e Cultura", clicca QUI ), i fondatori della civiltà di Tartesso, nella foce del Guadalquivir, l'antico Tartesso, nel sud-ovest iberico. Da quello che ne sappiamo, non usavano la scrittura, ma se mai l'avessero voluta usare in tempi successivi, il modello a loro più affine non avrebbe potuto essere che l'alfabeto sillabico Tartessico. Della loro lingua parlata si conoscono solo antroponimi e toponimi (tipici i suffissi -asca o -asco = desinenza per villaggio), e non praticando la scrittura, non hanno lasciato propri testi. La tesi comune è che si tratti di un'antica lingua pre-indoeuropea, successivamente influenzata da lingue celtiche (gallico) e latine. Altre tesi sostengono che l'antico ligure sarebbe stato una variante della lingua celtica, cugino del gallico (Xavier Delamarre). Del resto non sappiamo nemmeno come si chiamassero nella loro lingua, o se avevano un termine per definirsi: "Liguri" è un termine che deriva dal nome con cui i greci chiamarono questa etnia (Ligues), quando cominciarono l'esplorazione del Mediterraneo occidentale. Poi in epoca tarda, cominciarono anche loro ad usare questo termine per differenziarsi dalle altre etnie. Alcuni studiosi, citando Plutarco, riferiscono di un singolo episodio (la battaglia di Aquae Sextiae del 102 a.C.), quando i liguri alleati dei romani urlarono "Ambrones!" come grido di battaglia; ma sull'episodio ci sono interpretazioni opposte. Un'opinione condivisa ai più, è che in origine i Liguri non avessero un termine per definire tutta la propria etnia, avevano solo dei nomi con cui si definivano come membri di una particolare tribù. Solo quando dovettero confrontarsi con popoli uniti e organizzati (greci, etruschi, romani) e dovettero federarsi per difendersi, sentirono la necessità di riconoscersi etnicamente tramite un unico termine.
Gli antichi Liguri vengono
ritenuti un gruppo di popoli non indoeuropei
(pre-indoeuropei), stanziati nella Penisola iberica, nel meridione francese e nell'Italia Nord-occidentale. A favore di un'origine
pre-indoeuropea, Arturo Issel, geologo e paleontologo genovese, che
li considerò diretti discendenti dell'Uomo di Cro-Magnon, e
diffusosi a partire dal mesolitico in tutto l'occidente europeo. Recentemente, a parziale supporto della
tesi pre-indoeuropea, ci sono le ricerche di genetica comparata, che
evidenziano una significativa diversità genetica nelle popolazioni
originarie dell'area ligure, langarola e monferrina. Alcune delle
caratteristiche evidenziate le avvicinano ad altre popolazioni
(basche, gallesi, bretoni), tradizionalmente indicate come rimanenze
delle antiche popolazioni pre-indoeuropee. Successivamente durante il Neolitico, a
seguito di ondate migratorie, i Liguri vennero a contatto con altri
popoli, che si fusero con l'etnia ligure preesistente, o almeno
ebbero su di essa una profonda influenza culturale. Alcuni linguisti hanno trovato traccia
di tre impatti culturali in successione:
- un contatto con elementi Indoeuropei
(III millennio a.C.), parlanti una lingua ancora non specializzatasi
nelle varie lingue indoeuropee note, che portò i Liguri ad essere
essi stessi Proto-Indoeuropei, parlanti un miscuglio delle due
lingue;
- un contatto con elementi Proto-celtici
(II millennio a.C.), parlanti una forma arcaica di celta, anche se i
Liguri riuscirono a mantenere ancora parte della lingua
antico-ligure;
- un contatto con elementi celtici o
celtizzati (dal 1000 a.C. in poi), che portò alla quasi scomparsa
delle reminiscenze linguistiche antico-liguri.
Secondo il linguista Villar, in epoca
romana, la Liguria presentava per lo meno cinque strati ben
identificati: latino, gallico, lepontico, antico europeo e
pre-indoeuropeo. L'etnia Ligure rimase identificabile
anche dopo la conquista romana: quest'ultimi chiamavano "Liguri dai
capelli lunghi" (Ligures comati) la popolazione stanziata nelle zone
più montuose della Liguria e dell'Appennino tosco-emiliano. Nelle
Alpi Marittime molte tribù si manterranno a lungo ostili ai Romani,
continuando ancora a chiamarsi a questo mondo (Ligures capillati) al
tempo di Augusto. L'etnia Ligure si dissolse nella
"cittadinanza romana", con il progredire della
romanizzazione nei territori conquistati.
Celtizzazione dei Liguri - Indipendentemente dalla diatriba
sull'origine indoeuropea dell'etnia ligure, è assodato che ad un
certo punto della storia i Liguri si siano confrontati con i popoli
celtici e ne abbiano assorbito (almeno in parte) la cultura. Anche in questo caso vi sono però, da
parte degli studiosi, diverse interpretazioni, che variano tra due
tesi estreme:
- a partire dalla metà del II millennio
a.C., popolazioni celtiche o protoceltiche si infiltrarono
nell'Italia settentrionale e nella Francia meridionale, fondendosi
gradualmente con le varie tribù liguri, fino a che, all'arrivo dei
romani, non vi erano più differenze significative tra Galli e
Liguri, ma solo diverse tribù unite da relazioni di parentela e da
motivi geografici.
- a partire dalla metà del II millennio
a.C., popolazioni celtiche o protoceltiche si espansero nell'Italia
settentrionale e nella Francia meridionale, cacciando le varie tribù
liguri; quest'ultimi, rifugiatisi in un'area ristretta, sopravvissero
come popolo autonomo, anche se i continui contatti commerciali
finirono per "celtizzarne" pesantemente usi e costumi. Due sembrano essere i punti fermi: nelle aree "liguri", prima
del XIV secolo a.C., vi era una cultura che praticava l'inumazione
dei morti, poi, a partire dalle zone più settentrionali, pian piano
si riscontrano sempre più incinerazioni, finché quest'ultima finì
per essere la più praticata; all'arrivo dei romani, i Liguri avevano
la stessa cultura materiale (gioielli, utensili, armi) dei Galli. Le evidenze archeologiche delle
necropoli ticinesi indicano una successione di culture
(Scamozzina-Canegrate-Protogolasecca-Golasecca) che trovano
successivamente dei paralleli nelle necropoli liguri, pur con delle
loro varianti. Questa evoluzione stilistica e temporale sembra avere
una direzione di propagazione nord - sud, e si protrae dal XIV al IV
secolo a.C.. D'altronde sappiamo che i greci
distinguevano i Liguri dai Celti, e che gli stessi Liguri non si
ritenevano Galli. Secondo i più, la chiave per la giusta
interpretazione potrebbe essere proprio nel commercio. I Celti
avevano bisogno di una via commerciale per il mediterraneo e l'Italia
centro-meridionale. I Liguri avrebbero potuto essere dei buoni
partner, tanto più che da millenni era attiva una via per il
commercio dell'ambra e loro stessi praticavano del commercio
marittimo. Dall'altra i Liguri erano piuttosto arretrati dal punto di
vista tecnologico, e il commercio con i celti gli avrebbe dato la
possibilità di mettere le mani su oggetti fuori dalla loro portata.
Questo è stato lo stesso meccanismo che ha permesso (nei secoli
successivi) ai liguri di possedere anche dei manufatti etruschi e
greci d'alto pregio.
Infine, in alcune necropoli sono state
ritrovate ricche sepolture spiccatamente celtiche, assieme ad altre
più modeste e con un particolarità locali; questo ha fatto
ipotizzare che negli empori liguri vi fossero dei veri e propri
"agenti di commercio" di tribù celtiche (si è arrivati ad
ipotizzare che originariamente Chiavari fosse un emporio a tutti gli
effetti celta).
Cultura di Golasecca: bacile di Castelletto Ticino. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Carta delle prime culture Celtiche in Europa: Proto-Golasecca nel XII sec. a.C., Hallstatt nell'VIII sec. a.C., La Tène nel IV - V sec. a.C. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Per il post "Cultura di Golasecca", clicca QUI.
Assistiamo quindi all'evoluzione delle caratteristiche liguri nelle forme che caratterizzeranno la celticità, che a sua volta concorrerà a contraddistinguere la cultura gallica. I caratteri degli alfabeti nord-Italici, presi e trasformati dall'alfabeto etrusco, daranno alle popolazioni germaniche lo spunto per creare l'alfabeto runico, anche se alcuni studiosi pensano che l'alfabeto etrusco discenda dal retico-runico o dal runico, come altri esperti germanici sostengono. L'aspetto che più colpisce delle Rune è il fatto che durante la fase di sviluppo autoctono abbiano totalmente rivoluzionato il sistema alfabetico e fonetico italico, applicando ad esso addirittura un altro ordine. Questo, in ambito scrittorio, è un fatto rarissimo, se non addirittura unico nel suo genere.
I Celti in Europa: nascita della loro
cultura nel XII sec. a. C. a Golasecca,
e successive espansioni. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
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Elmo Lepontico di Giubilasco |
Seguendo l'opinione di Lejeune (1971),
l'idea prevalente divenne che il leponzio deve essere classificato
come lingua della famiglia celtica, sebbene sia probabilmente
divergente quanto il celtiberico, e in ogni caso abbastanza distinto
dal Gallico Cisalpino. Solo negli ultimi anni, c'è stata una
tendenza a identificare il leponzio e il gallico cisalpino come una
sola e medesima lingua. Mentre la lingua è così chiamata dal
nome della tribù dei Lepontii, che occupavano parti della Rhaetia
(nelle moderne Alpi centrali), confinanti con la Gallia Cisalpina, il
termine è normalmente usato da molti celtisti in riferimento a tutti
i dialetti celtici dell'antica Italia; ma questo uso è messo in
discussione da coloro che continuano a ritenere che i Lepontii
siano una delle diverse tribù indigene delle Alpi, abbastanza
distinta dai Galli che invasero la pianura padana in tempi
storici. Si tratterebbe quindi di uno strato
linguistico celtico pre-gallico, ovvero anteriore all'invasione
gallica del 388 a.C. e dalle recenti ricerche individuato anche
come una componente del ligure , che viene così a perdere il
carattere sostanzialmente preindoeuropeo a lungo attribuitogli. Ligure e Leponzio,
quindi, farebbero parte di un area linguistica caratteristica
dell'Italia nord-occidentale da inserire nel più vasto quadro della
famiglia delle lingue celtiche.
I diversi tipi di alfabeto utilizzati nell’Italia settentrionale erano:
- alfabeto di Lugano o leponzio dai Leponti,
- alfabeto di Lugano o leponzio dai Leponti,
- alfabeto di Sondrio o camuno dai Camuni,
- alfabeto di Bolzano o di Sanzeno dai Reti,
- alfabeto di Bolzano o di Sanzeno dai Reti,
- alfabeto di Magrè dai Reti,
- alfabeto Venetico d'Este dai Venetici, gli antichi Veneti.
Il loro nome appare per secondo, subito dopo quello dei Trumplini, tra le gentes Alpinae devictae nell’iscrizione del Tropaeum Augusti a La Turbie, presso il principato di Monaco, il cui testo è riportato integralmente da Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 134). I Camunni sono considerati, insieme ai Trumplini e agli Stoeni, questi ultimi abitanti delle Giudicarie, “gentes Euganee” (ed in questo caso, Liguri) da parte di Plinio sull’autorità di Catone (Nat. hist., III, 133-34) mentre Strabone (IV, 206) li considera di stirpe Retica.
Dal punto di vista archeologico, la Val Camonica appare durante la seconda età del Ferro (V-I sec. a.C.) al centro di un’area culturale, comprendente anche la Valtellina, la Val Trompia, la Val Sabbia e le Giudicarie, caratterizzata dalla ceramica tipo Breno-Dos dell’Arca, il cui tipo più significativo è una foggia di boccale a base svasata e con parete piatta o rientrante dalla parte dell’ansa, e da iscrizioni su ceramica e pietra in alfabeto di Sondrio, il significato delle quali rimane ancora oggi del tutto oscuro. Con l’alfabeto retico di Bolzano, quello di Sondrio o Camuno condivide l’assenza della vocale "o", come nell'Etrusco. Pur presentando aspetti comuni o affini, in questo periodo il territorio della cultura tipo Breno-Dos dell’Arca si differenzia in maniera precisa dall’area culturale di Fritzens- Sanzeno, che certamente corrisponde al Paese dei Reti. È probabile quindi che la notizia di Plinio sia quella giusta e che la cultura tipo Breno-Dos dell’Arca debba essere attribuita agli Euganei. Per quanto riguarda la prima età del Ferro, l’estrema lacunosità delle fonti non consente di delineare un quadro culturale preciso. Gli oggetti sporadici, per lo più di bronzo, mostrano affinità con i tipi diffusi nell’ambiente alpino centro-orientale, in particolare nell’area culturale di Luco e Meluno. I riti funerari sono scarsamente conosciuti. I pochi documenti, come la piccola necropoli di Breno del V-IV sec. a.C., alcune tombe di Castione della Presolana e due tombe di Capo di Ponte del I sec. a.C. - I sec. d.C. attestano il rito dell’inumazione.
Secondo lo storico romano Plinio il vecchio essi erano divisi in vari gruppi, riconducibili però a una unica entità etnico-culturale di origine etrusca; questa molteplicità di comunità pone serie difficoltà agli studiosi nel delineare con precisione l'area da loro occupata.
indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati",
o forse gli "amabili", gli "amichevoli". Nel periodo
antico i Venetici avevano rapporti culturali con la Civiltà villanoviana, con
l'Egeo e l'Oriente, e successivamente anche con gli Etruschi. Caso unico tra i popoli dell'epoca nell'Italia settentrionale, si può stabilire l'identità tra la popolazione attuale e la cultura degli antichi, in questo caso i paleo-Veneti; è possibile infatti attribuire una precisa cultura materiale e artistica nel loro territorio di stanziamento, la Venezia.
Questa cultura si sviluppò durante un lungo periodo, per tutto il I millennio a.C., anche se nel tempo subì diverse influenze. Di questa popolazione e identità la documentazione archeologica è particolarmente ricca. I Veneti si stanziarono inizialmente nell'area tra il Lago di Garda ed i Colli Euganei; in seguito si espansero fino a raggiungere confini simili a quelli del Veneto attuale, anche se bisogna considerare che la linea di costa del Mar Adriatico era più arretrata rispetto ad oggi. Secondo i ritrovamenti archeologici (che concordano anche con le fonti scritte), i confini occidentali del loro territorio correvano lungo il Lago di Garda, quelli meridionali seguivano una linea che parte dal fiume Tartaro, segue il Po e raggiunge Adria, lungo il ramo estinto del Po di Adria, mentre quelli orientali giungevano fino al Tagliamento. Oltre tale fiume erano insediate genti di ceppo illirico, anche se fino all'Isonzo la presenza veneta era tanto forte che si può parlare di popolazione veneto-illirica. I confini settentrionali erano invece
meno definiti e omogenei; il territorio veneto risaliva soprattutto i
fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi, che fungevano comunque da
confine naturale. La presenza veneta sulle Alpi è attestata
soprattutto nelle Dolomiti del Cadore, a Lagole.
Altri studiosi pensano invece che lo
stesso etrusco discenda dal retico-runico o dal runico, come
alcuni esperti germanici sostengono. La parola Runa è connessa ai
concetti di "segreto" e "mistero" per alludere
sia alla caratteristica di comunicazione silenziosa (la scrittura in
se), sia all'uso magico che se ne faceva. E' anche possibile che le incisioni
rupestri abbiano il valore di runa, ovvero non tanto in un alfabeto ,
ma in un segno di potenza di potenza. Curiosa è anche la storia dei Cimbri (
zona di Asiago): “La Storia mette in relazione la
provenienza dei Cimbri dei Sette Comuni con la storia del popolo dei
Cimbri, provenienti dallo Jütland in Danimarca, che emigrarono -
primi tra tutti i popoli germanici - nella penisola italiana, ma
furono sconfitti nel 101 a.C. dall'esercito romano di Mario. Uno
sparuto numero di guerrieri Cimbri sarebbe sopravvissuto al "grande
scontro" (grössen Stroach) e avrebbe trovato rifugio sulle
montagne del Veneto. In questo modo si formarono i Sette Comuni
(Siben Komoine) in provincia di Vicenza, per secoli Federazione
indipendente, gli abitanti dei quali parlerebbero ancora l'antica
lingua dei Cimbri appunto. La Festa dei Cimbri, che si tiene
ancora nei pressi di Asiago, si chiama Altazunna, che in lingua
cimbrica significa “vecchio sole”, “antico sole”. Non
sfuggirà, penso, a chi abbia un po' di dimestichezza con le lingue
germaniche, l'assonanza con il tedesco “Alte Sonne”. L'alfabeto runico,
è detto "fuþark" (dove il segno þ corrisponde al
suono th dell'inglese “think”), dalla sequenza dei primi 6 segni
che lo compongono (Fehu, Uruz, Þurisaz, Ansuz, Raido, Kaunan), era
l'alfabeto segnico usato dalle antiche popolazioni germaniche (come
ad esempio Angli, Juti e Goti). Le rune
probabilmente derivano da una scrittura appartenente al gruppo delle
cinque principali varietà di alfabeto italico settentrionale,
derivato dall'alfabeto etrusco, e perciò detto "nord-etrusco"
anche se la vera origine delle rune si perde nella notte dei tempi
poiché esistono parecchie tipologie di alfabeti runici. Tale
alfabeto è conosciuto solo attraverso alcune iscrizioni che furono
scoperte nell'area alpina e prealpina. Scritture simili furono usate
per il Leponzio, il Retico e il Venetico; particolarmente simile
all'alfabeto runico, e possibile esempio di passaggio tra l'etrusco e
il runico, è l'alfabeto di Lugano (o di Como), particolarmente noto
per la stele di Prestino. Questa iscrizione è in un dialetto
celtico, sebbene presenti possibili segni di un substrato
pre-indeuropeo, probabilmente ligure-leponzio; è speculativo, ma non
infondato, supporre che nell'Italia settentrionale dell'età del
bronzo pre celtica fossero parlate lingue agglutinanti non
indeuropee, magari collegabili con le lingue tirreniche come il
Lemnio e l'Etrusco, o addirittura con alcune lingue anatoliche e
mesopotamiche. Tra i ritrovamenti più recenti, lo
scavo archeologico in corso ad Auronzo di Cadore sul monte Calvario,
prende in esame le iscrizioni in Venetico, incise sotto forma di
invocazioni, su alcune lamine in bronzo utilizzate per le donazioni
durante rituali e sacrifici, e sul manico di un Simpulo ( vaso usato
dai Romani nei tempi più antichi come oggetto d'uso comune, poi solo come vaso rituale, per libare il vino nei sacrifici), che attestano la formazione dell'alfabeto runico.
- I Camuni erano una popolazione che abitava l’attuale Val Camonica, che da loro prende il nome, sottomessa dai Romani nel 16 a.C. con la spedizione militare di Publio Silio contro le popolazioni alpine.
La Val Camonica, lungo il fiume Oglio che nasce sul passo del Tonale, fino al Lago d'Iseo, formato dal fiume; il territorio degli antichi Camuni. |
Alfabeto Camuno di Sondrio. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
La documentazione più importante per conoscere la civiltà dei Camuni dell’età del Ferro è senza dubbio l’arte rupestre della Val Camonica. Il IV stile copre tutto l’arco cronologico dell’età del Ferro e si può suddividere in cinque fasi: IV-1, caratterizzata da uno stile geometrico-lineare e databile all’VIII sec. a.C.; IV-2 o stile protonaturalistico, databile al VII-VI sec. a.C.; IV-3 o stile naturalistico (V-IV sec. a.C.); IV-4 (IVIII sec. a.C.) e IV-5 o stile decadente, databile al II-I sec. a.C. I principali soggetti raffigurati sono scene di caccia al cervo da parte di cavalieri armati di lancia e con l’ausilio dei cani, scene di duello, scene di parate militari con esibizione delle armi e della virilità e inoltre raggruppamenti di capanne, scene di attività artigianali (fabbro, tessitura), composizioni di armi, motivi simbolici (impronte di piedi, figure di palette, labirinti, la “rosa camuna”), iscrizioni.
Dopo la conquista romana, la tribù dei Camuni fu attribuita probabilmente a Brescia. Il capoluogo della valle prese il nome di Civitas Camunnorum, centro che gradualmente assimilò il modello urbano romano, con un’area pubblica destinata ad accogliere terme, teatro e anfiteatro, quest’ultimo scoperto nel 1984-85. Nella vicina Breno, nel corso del 1986, è stato scoperto un santuario dedicato a Minerva, che ha restituito una statua della dea di marmo di Carrara. A seguito della conquista romana i Camuni adottarono gli usi romani anche nel campo dei riti funerari e si diffuse quindi la cremazione. Necropoli a cremazione sono state scoperte a Breno, Cividate Camuno e Borno.Carta dei territori dei Leponzi, Camuni, Reti, Euganei, Venetici e Carni. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
- I Reti erano una antica popolazione stanziata nelle Alpi centro-orientali, inserita nel contesto culturale di Fritzens-Sanzeno, che aveva come epicentro il Trentino e il Tirolo, sviluppandosi fino all'Engadina, nel Canton Grigioni, in Svizzera.
Carta con i territori dei Leponzi, Trumplini, Tridentini, Stoni, Euganei, Reti, Vindelici, il Norico; le Alpi Centrali e Orientali con i territori limitrofi. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
A seguito della conquista dell'arco alpino effettuata sotto l'imperatore Augusto tra il 15 e il 16 a.C. i popoli retici furono sottomessi a Roma, e successivamente inseriti nella provincia di Rezia. Lo storico latino Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) fa derivare il nome Reti dal re eponimo "Reto", comandante delle popolazioni etrusche che, stanziate nell'area padana, furono costrette a riparare sui monti alpini dall'arrivo dei Galli. Secondo lo storico latino Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.) i Reti discenderebbero dagli etruschi, ritirati sull'arco alpino a seguito delle invasioni celtiche nel nord Italia. Il primo uso del termine "retico" risale a Catone il censore (234-149 a.C.), che lo utilizzò per descrivere un vino pregiato. Lo storico greco Strabone (58 a.C.-25 d.C. circa) descrive i Reti associandoli ai Vindelici, collocandoli tra Elvezi e Boi sopra "Verona e Como"; precisa inoltre che alla "stirpe retica" appartengono sia i Leponzi che i Camuni (ed in questo caso, quindi, Liguri): « Vi sono poi, di seguito, le parti dei monti rivolte verso oriente e quelle che declinano a sud: le occupano i Reti e i Vindelici, confinanti con gli Elvezi e i Boi: infatti si affacciano sulle loro pianure. Dunque i Reti si estendono sulla parte dell'Italia che sta sopra Verona e Como; e il vino retico, che ha fama di non essere inferiore a quelli rinomati nelle terre italiche, nasce sulle falde dei loro monti. Il loro territorio si estende fino alle terre attraverso le quali scorre il Reno; a questa stirpe appartengono anche i Leponzi e i Camunni. I Vindelici ed i Norici invece occupano la maggior parte dei territori esterni alla regione montuosa, insieme ai Breuni e ai Genauni; essi appartengono però agli Illiri. Tutti questi effettuavano usualmente scorrerie nelle parti confinanti con l'Italia, così come verso gli Elvezi, i Sequani, i Boi e i Germani. Erano considerati più bellicosi dei Vindelici i Licatti, i Clautenati, e i Vennoni; dei Reti i Rucanti e i Cotuanti. » (Strabone, Geografia, IV, 6.8). Nel libro VII, sempre Strabone descrive il territorio dei Reti, che si trova a cavallo delle Alpi tra il lago di Costanza e le terre degli Insubri in Italia: « I Reti toccano per poca parte col loro territorio il lago (Lago di Costanza), mentre la maggior parte ricade sotto gli Elvezi, i Vindelici e il gruppo dei Boi. Tutti, fino ai Pannoni, ma in special modo Elvezi e Vindelici, abitano gli altipiani. I Reti ed i Norici si estendono dai passi delle Alpi fino verso l'Italia, confinando i primi con gl'Insubri, i secondi con i Carni e le terre d'Aquileia. » (Strabone, Geografia, VII, 1.5).
Alfabeti Retici di Magrè e Bolzano. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Lo storico latino Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Storia naturale ricorda che "Feltre, Trento e Belluno sono centri dei Reti, e Verona è dei Reti e degli Euganei; « Con loro (i Norici) confinano i Reti e i Vindelici, tutti divisi in molte comunità. Si ritiene che i Reti, discendenti degli etruschi, condotti da Reto, furono scacciati dai Galli. » (Plinio il Vecchio, Naturalis historia, III, 133). Durante l'età del ferro, soprattutto dal VI secolo a.C., si afferma nell'area tra il Tirolo ed il Trentino la cultura di Fritzens-Sanzeno, che perdurerà fino alla conquista dell'area da parte di Roma, nel I secolo a.C., che segnerà appunto la fine di quest'epoca. Dal VI secolo a.C. si segnala anche una significativa influenza etrusca nel nord-Italia, ponendosi di fatto come cultura mediatrice tra le popolazioni mediterranee e quelle transalpine. Il territorio della valle dell'Adige si presentava come la via più breve per giungere oltralpe, attraverso i due passi della Resia e del Brennero. Tra la fine del V e l'inizio del IV secolo le popolazioni celtiche si insediano nella pianura Padana; tra i vari gruppi quello dei Celti Cenomani s'inserisce tra il fiume Oglio ed Adige, sostituendo gli etruschi nei traffici con i Reti. Nelle antiche descrizioni i Reti appaiono come un popolo portato alla guerra e selvaggio, che non perdeva occasione per effettuare scorrerie ed attacchi verso i fondovalle già romanizzati. D'altro lato essi stessi erano visti come un ostacolo al transito tra i versanti nord e sud delle Alpi, in quanto obbligavano al pagamento di pedaggi e assalivano convogli. Si suppone che queste descrizioni siano state volutamente enfatizzate per giustificare la conquista delle Alpi da parte dei romani. I siti archeologici più importanti sono Sanzeno e Mechel in val di Non, il Doss Castel, il castelliere sul Col de Pigui nei pressi di Mazzin, e Laives: per tali insediamenti è possibile parlare di strutture protourbane. Si definisce Cultura di Fritzens-Sanzeno la cultura materiale retica, che prende il nome da queste due località (l'una nella valle dell'Inn e l'altra in Val di Non), che andò a sovrapporsi alle precedenti Cultura di Luco-Meluno e cultura di Hallstatt. La scrittura retica, la cui comparsa è collocata attorno al 500 a.C., presenta un forte influsso etrusco, se non una vera e propria derivazione. Analizzando numerose iscrizioni rinvenute nel territorio retico, sono state distinte quattro varianti grafiche: gli alfabeti di Lugano, Sondrio-Valcamonica, Bolzano-Sanzeno e Magrè. Con l’alfabeto retico di Bolzano, quello di Sondrio o Camuno condivide l’assenza della vocale "o" come nell'Etrusco. I Reti, sebbene con modalità diverse e più articolate, condivisero con i Venetici l'adozione dell'alfabeto etrusco. Un'ipotesi è che le lingue dei popoli retici, avessero una base comune non indoeuropea ma, come nel caso dei Leponti, Ligure, sulla quale si è innestato un ceppo di derivazione etrusca. Nel 1960 Osmund Menghin ha avanzato l'ipotesi che i Reti non fossero una popolazione, quanto invece un "gruppo di culto", a cui si associa, per assonanza, il culto della divinità Reitia.
Statuetta della dea Reitia. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
A proposito delle divinità dei Reti è immediato il riferimento innanzitutto alla dea Reitia che veniva venerata nel santuario di Baratela a Este verso Padova, un centro della cultura venetica. Nato alla fine del VII secolo a.C., sotto l'influsso religioso etrusco, fu frequentato fino al II-III secolo d.C.. Si presume che Reitia non fosse il nome proprio della divinità, ma un attributo caratteristico di una dea, che presenta molti tratti in comune con la dea greca Artemide – Diana e che sarebbe concepibile come dea madre della fertilità, della guarigione e dell'al di là. Difficile dire se le figure femminili stilizzate, le cui braccia terminano con una testina di cavallo o di uccello, rappresentino la dea Reitia. Altrettanto problematico è appurare se le popolazioni alpine siano state denominate Reti proprio in base alla loro venerazione per la dea Reitia. In ogni caso nell'età Romana è epigraficamente documentata in Valpolicella la presenza di un sacerdote che presiedeva ai "riti Reitiae" (riti della dea Rezia). A Sesto alcune iscrizioni menzionano la divinità Ierisna, simile ad Era o ad una dea delle stagioni e dei prodotti della terra.
- I Veneti, a volte indicati anche come
Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti per distinguerli dagli odierni
abitanti del Veneto, erano una popolazione indoeuropea che si stanziò
nell'Italia nord-orientale dopo la metà del II millennio a.C. e
sviluppò una propria originale civiltà nel corso del millennio
successivo.
I linguaggi nella penisola Italica dal VII sec. a.C. al III sec. a.C. Clicca sull'immagineper ingrandirla. |
Il nome "Veneti" ricorre
frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto ricorda gli Eneti tra
le tribù illiriche, probabilmente i nostri Veneti italici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, o Venedi e Venedae,
distinguendoli dai Sarmati, riferendosi agli Slavi Venedi-Sclavini; Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus, poi i Venetulani, un popolo laziale scomparso citato da Plinio. Vi sono
inoltre i Veneti Celti, della Bretagna francese, battuti poi da
Giulio Cesare. La frequenza di questo etnonimo in
diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami
storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso,
quanto piuttosto con un'uguale derivazione, più volte ripetuta in
modo
Reperto venetico di provenienza egea. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Carta dell'antica Venetia, X Regio romana. Clicca sull'immagine per ingrandirla |
Alfabeto Venetico d'Este. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
La ricerca moderna, in questo modo, si
è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto già dalla
storiografia latina: i Veneti condividono con i Latini una comune
origine protostorica, anche se non attraverso quel comune legame con
l'Antica Grecia (e con Troia in particolare) postulato dai Romani
mediante il mito di Antenore. L'insieme indoeuropeo veneto-latino si
era formato come gruppo a sé in un'area dell'Europa centrale,
probabilmente ubicato entro i confini dell'odierna Germania e parte
di un vasto continuum indoeuropeo esteso nell'Europa centro-orientale
fin dagli inizi del III millennio a.C.. Da qui mosse verso sud nel corso del II
millennio a.C., probabilmente intorno al XV secolo a.C.; mentre una
parte di queste genti proseguì fino all'odierno Lazio (i Latini), il
gruppo che avrebbe dato origine ai Veneti si insediò a nord del
Golfo di Venezia e lì si attestò definitivamente. Il venetico era una lingua indoeuropea di "tipo
centum". Sulla sua relazione esatta con altre lingue
indoeuropee si sta ancora indagando, ma la maggior parte degli
studiosi concorda che il venetico fosse molto vicino alle lingue
italiche. Ormai ampiamente confutata è la tesi ottocentesca di una
sua affinità alle lingue illiriche (il cui unico ramo vivente pare
sia l'albanese). Il venetico aveva circa sei o sette
casi nominali e quattro coniugazioni (analogamente al latino). Sono
note circa 60 parole, ma alcune sono prestiti dal latino o
dall'etrusco. Molte vengono considerate di origine indoeuropea, come "fraterei" (bhraterei) = al fratello. La civiltà o cultura Atestina o
d'Este, diffusa nell'attuale territorio del Veneto e sviluppatasi tra
la fine dell'età del bronzo (X-IX secolo a.C.) e l'età romana (I
secolo a.C.) fu un'espressione di questa popolazione, i Venetici. La civiltà o cultura Atestina o d'Este
è una testimonianza dell'antica popolazione dei Venetici nell'Italia
protostorica, diffusa nell'attuale territorio del Veneto e
sviluppatasi tra la fine dell'età del bronzo (X-IX secolo a.C.) e
l'età romana (I secolo a.C.) e derivata dalla precedente e più
estesa cultura protovillanoviana.
Situla Benvenuti. |
Essa prende il suo nome da Este in provincia di Padova, che ne fu il centro principale, ed è detta anche "civiltà delle situle", dal nome degli oggetti tipici della sua produzione, o civiltà paleo-veneta. L'economia era fondata
sull'agricoltura, l'allevamento delle pecore, la pesca in acqua
dolce. Si praticavano scambi con la regione villanoviana bolognese e
l'Etruria, la Slovenia, il Tirolo e la regione hallstattiana. La
situla Benvenuti è uno dei migliori esempi della produzione di
questa cultura, con ornamenti animali (reali o fantastici), vegetali
e geometrici, che dimostrano un'influenza orientale. Vi sono
raffigurate anche scene con personaggi, dove si scorgono i primi
intenti narrativi, con temi tipicamente locali come scene di
commercio, di lotta, di vita rurale e di guerra. Le situle sono
diffuse su un ampio raggio, forse a opera di artigiani itineranti in
contatto con civiltà orientali più progredite, probabilmente
tramite la mediazione dell'Etruria o delle colonie adriatiche della
Magna Grecia o della penisola balcanica.
Il cavallo, chiamato Ekvo dai Veneti antichi, animale-totem della protostoria dell'Europa, giocò nella loro cultura un ruolo di prim'ordine. Questi animali erano allevati per la loro valenza economica e come simbolo di predominio aristocratico e militare. I cavalli dei Veneti erano noti per la loro abilità nella corsa ed erano spesso riprodotti negli ex voto, nelle aree più sacre. Centinaia di bronzetti a forma di cavallo o di cavaliere su cavallo provengono dai luoghi di culto dei Veneti. Al cavallo erano riservati appositi spazi di sepoltura nelle necropoli. Il cavallo compare in vari manufatti come immagine simbolica o elemento decorativo.
L’utilizzo dell’alfabeto segna una profonda trasformazione nelle forme di comunicazione. Alla trasmissione orale, connessa alla sfera della percezione auditiva, personale e momentanea, si affianca quella della scrittura che, legata alle capacità visive, può essere anche fissata su supporti non deperibili, in grado di travalicare le dimensioni spaziotemporali. Agli inizi del VI secolo a.C., in connessione con l’espansione commerciale e culturale degli Etruschi insediati nella pianura Padana, l’alfabeto si trasmise in più varianti alle altre popolazioni dell’Italia settentrionale raggiungendo anche quelle dell’arco alpino. Le popolazioni celtiche a nord delle Alpi, seppur coinvolte dalla circolazione di beni derivati dal mondo mediterraneo, non accolsero invece, se non occasionalmente, l’uso dell’alfabeto. I diversi tipi di alfabeto utilizzati nell’Italia settentrionale da Veneti (alfabeto di Este o venetico), Reti (alfabeto di Bolzano o di Sanzeno), Camuni (di Sondrio o camuno) e Leponzi (di Lugano o leponzio) mostrano relazioni con diverse varietà dell’Etruria padana. Quello utilizzato nel cuore del territorio retico si avvicina al prototipo di Bologna e, pur con difformità locali, in linea di massima rispetta il modello etrusco, ad esempio nell’assenza della lettera "o". La diffusione della scrittura, peraltro limitata a una ristretta cerchia di individui che dovevano distinguersi dal punto di vista della scala sociale, viene addebitata all'attività di ‘maestri’ (o ‘maestre’) che avrebbero insegnato in terra straniera il proprio alfabeto, introducendo segni grafici come adattamento alle esigenze della lingua locale. Le iscrizioni retiche compaiono su contenitori, strumenti, manufatti con destinazione votiva in bronzo, osso, corno, pietra ed eccezionalmente su cippi funerari. La scrittura, connessa soprattutto alla sfera magico-religiosa, è rappresentata da un numero limitato di iscrizioni la cui brevità e carattere formulario ne ostacolano una piena comprensione. Se gli alfabeti di Sanzeno o Retico, di Magrè e Camuno sono relativi a lingue non indoeuropee, quello di Este o Venetico si associa a una lingua indoeuropea, mentre il Leponzio è indice di celticità.
Cavallo Venetico |
L’utilizzo dell’alfabeto segna una profonda trasformazione nelle forme di comunicazione. Alla trasmissione orale, connessa alla sfera della percezione auditiva, personale e momentanea, si affianca quella della scrittura che, legata alle capacità visive, può essere anche fissata su supporti non deperibili, in grado di travalicare le dimensioni spaziotemporali. Agli inizi del VI secolo a.C., in connessione con l’espansione commerciale e culturale degli Etruschi insediati nella pianura Padana, l’alfabeto si trasmise in più varianti alle altre popolazioni dell’Italia settentrionale raggiungendo anche quelle dell’arco alpino. Le popolazioni celtiche a nord delle Alpi, seppur coinvolte dalla circolazione di beni derivati dal mondo mediterraneo, non accolsero invece, se non occasionalmente, l’uso dell’alfabeto. I diversi tipi di alfabeto utilizzati nell’Italia settentrionale da Veneti (alfabeto di Este o venetico), Reti (alfabeto di Bolzano o di Sanzeno), Camuni (di Sondrio o camuno) e Leponzi (di Lugano o leponzio) mostrano relazioni con diverse varietà dell’Etruria padana. Quello utilizzato nel cuore del territorio retico si avvicina al prototipo di Bologna e, pur con difformità locali, in linea di massima rispetta il modello etrusco, ad esempio nell’assenza della lettera "o". La diffusione della scrittura, peraltro limitata a una ristretta cerchia di individui che dovevano distinguersi dal punto di vista della scala sociale, viene addebitata all'attività di ‘maestri’ (o ‘maestre’) che avrebbero insegnato in terra straniera il proprio alfabeto, introducendo segni grafici come adattamento alle esigenze della lingua locale. Le iscrizioni retiche compaiono su contenitori, strumenti, manufatti con destinazione votiva in bronzo, osso, corno, pietra ed eccezionalmente su cippi funerari. La scrittura, connessa soprattutto alla sfera magico-religiosa, è rappresentata da un numero limitato di iscrizioni la cui brevità e carattere formulario ne ostacolano una piena comprensione. Se gli alfabeti di Sanzeno o Retico, di Magrè e Camuno sono relativi a lingue non indoeuropee, quello di Este o Venetico si associa a una lingua indoeuropea, mentre il Leponzio è indice di celticità.
Alfabeto Runico |
L'alfabeto runico - C'è chi pensa che le Rune germaniche
derivino da una scrittura appartenente al gruppo delle cinque
principali varietà di alfabeto italico settentrionale, derivato
dall'alfabeto etrusco. Tale alfabeto è conosciuto solo attraverso
alcune iscrizioni che furono scoperte nell'area alpina e prealpina.
Scritture simili furono usate per il Lepontico, il Retico e il
Venetico, e nell'alfabeto di Lugano, alcuni segni sono identici ai
segni runici o Rune, usate
nelle divinazioni dalle popolazione germaniche più o meno della
stessa era e sempre incise su pietra.
L'alfabeto Runico nella sua progressione originale |
Manico di Simpulo, reperto dagli scavi di Auronzo di Cadore con iscrizioni in Venetico http://www.runemal.org/futhark |
Altri esempi simili sono riscontrabili anche per le
popolazioni Retiche, che abitavano a est-nord est di quelle dell'area
compresa tra il Lago di Como e il Lago Maggiore, la loro lingua era
molto differente (più vicina all'etrusco e alle lingue tirreniche)
ma esistevano, evidentemente, scambi commerciali, guerre (Como fu
rasa al suolo dai retici in epoca storica e ricostruita in pianura
dai romani) e contatti culturali. L'esame delle iscrizioni dello
scavo archeologico in corso ad Auronzo di Cadore sul monte Calvario
sta cercando di spiegare la formazione dell'alfabeto runico.
L'aspetto che più colpisce delle rune è il fatto che durante
la fase di sviluppo autoctono abbiano totalmente rivoluzionato il
sistema alfabetico e fonetico italico, applicando ad esso
addirittura un altro ordine. Questo, in ambito scrittorio, è
un fatto rarissimo, se non addirittura unico nel suo
genere. Il sostantivo
norreno rún, attestato nelle iscrizioni, indica i singoli segni del
fuþark ed è conservato nelle altre lingue germaniche antiche con il
significato di "segreto", "mistero"; ancora,
nella lingua tedesca, il verbo “raunen” significa "bisbigliare,
sussurrare". Le rune sono una delle più importanti istituzioni
culturali e linguistiche comuni alle popolazioni germaniche. Va
inoltre detto che le prime iscrizioni runiche (II e III secolo d.C.)
sembrano mostrare una lingua essenzialmente unitaria, quasi senza
particolarità dialettali che poi saranno i tratti distintivi delle
lingue germaniche, dimostrando in questo modo che in questo periodo
non era ancora avvenuta la seconda rotazione consonantica (zweite
Lautverschiebung). Il fuþark (si
pronuncia Futhark) non venne usato solo per scrivere ma
anche per usi esoterici, religiosi o per inviare dispacci segreti
durante le battaglie, era inizialmente formato da 24 segni chiamati
rune. Si conoscono evoluzioni successive del fuþark, diverse per
numero e forma delle rune. La grafia delle singole rune, composte da
linee rette, dipende dal fatto che spesso le incisioni erano
effettuate su pietra, su legno od altre superfici dure a seconda del
loro uso. L'inesistenza di tratti orizzontali è motivata dal fatto
che nel primo periodo scrittorio i segni runici venivano incisi su
legno: escludendo l'esecuzione di tratti orizzontali si evitava che i
tratti coincidessero con le venature del tronco, evidentemente
disposto orizzontalmente; in questo modo si evitavano possibili
equivoci ed errori di lettura. I primi esempi risalgono alla fine del
II secolo d.C.
Simboli delle Rune |
Il significato delle rune si può solamente intuire poiché non sono giunte documentazioni chiare che attestino cosa esse veramente stiano a significare sotto ogni punto poiché come detto prima potevano essere usate anche per altri fini non per forza inerenti alla vita di tutti i giorni.
I significati delle rune vengono attribuiti dalla lettura di antichissimi scritti che trattano della mitologia nordica come l'Hávamál, o Edda poetica che è uno scritto di stralci di differenti origini, assemblati insieme per formare un lungo monologo che parla della vita di tutti i giorni, delle relazioni tra i sessi, delle rune e dei canti magici, con alcuni episodi mitologici inseriti nel discorso in qualità di esempio, antico testo di leggende e miti nordici che possiede una sua struttura archetipa collegata anche a storie vere dove simbolo e realtà si mischiano. ( Da Wikipedia)
I significati delle rune vengono attribuiti dalla lettura di antichissimi scritti che trattano della mitologia nordica come l'Hávamál, o Edda poetica che è uno scritto di stralci di differenti origini, assemblati insieme per formare un lungo monologo che parla della vita di tutti i giorni, delle relazioni tra i sessi, delle rune e dei canti magici, con alcuni episodi mitologici inseriti nel discorso in qualità di esempio, antico testo di leggende e miti nordici che possiede una sua struttura archetipa collegata anche a storie vere dove simbolo e realtà si mischiano. ( Da Wikipedia)
Il cerchio fra Celticità e Germanicità si chiude così nella Triskel, simbolo runico adottato ancora oggi dalle popolazioni celtiche di Bretagna, Irlanda, Galles e Asturie-Leon.
Triskel |
Afabeti Tartessico, Etrusco, Etrusco Settentrionale, Lepontico di Lugano, Runico, Camuno di Sondrio, Retico di Magrè, Retico di Bolzano, Venetico d'Este. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
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